A cura di Gianna Taverna – CFU ITALIA – O.D.V.

Per noi persone fibromialgiche una giornata senza dolore è rara “Albo signanda lapillo dies”, così come dicevano gli antichi latini. Sono giornate memorabili, avvenimenti felici, insperati e straordinarî.

 

Fibromialgia, compagna di una vita

Mi chiamo Gianna Taverna, vivo in Liguria, sto per compiere 70 anni e sono una paziente fibromialgica.

In realtà non so da quanto tempo soffro di fibromialgia, in quanto la prima diagnosi l’ho avuta nella primavera del 1996, ma i disturbi che possono essere messi in relazione con questa patologia li ho avvertiti già nell’infanzia.

Durante tutta la vita ho sofferto di dolore in varie forme: cefalee, dolori alle mani, dolori articolari, cervicali, lombari, muscolari, nevralgie, dolore diffuso, dolore localizzato, difficoltà di concentrazione.

Fino a una decina d’anni fa si trattava soprattutto di quelli che definiamo comunemente “attacchi di dolori” che durano un tempo più o meno circoscritto e dopo una terapia regrediscono.

Non scompaiono del tutto, ma almeno non sono più così forti da impedire lo svolgimento di una vita più o meno normale, cioè lavorare, aver cura della casa, utilizzare almeno un pò il proprio tempo libero.

Da un certo punto in poi però il dolore non se ne è più andato, malgrado terapie farmacologiche, fisioterapia, agopuntura, osteopatia.

Sono passati vent’anni esatti dalla prima diagnosi, ora di fibromialgia si parla molto di più anche se spesso ci si sente dire: “la fibromialgia è nella testa”.

 

La malattia ridisegna la vita

La malattia di per sé cambia la vita e a rinunciare a troppe cose. Primo fra tutti il lavoro.

Come arteterapeuta lavoravo a scuola, in particolare con la disabilità e il disagio ma anche in progetti più ampi per stimolare la creatività dei ragazzi. Un lavoro bellissimo che mi dava molto ma che richiedeva anche energie sia fisiche che psichiche.

La malattia non mi permetteva di rispettare orari, di essere sempre presente, di assistere i ragazzi nel loro lavoro. Tutto diventava troppo gravoso.

Dopo tredici anni ho deciso di chiudere con dolore quest’esperienza per me importante.

Altro cambiamento le vacanze.

Tutti gli anni, da una ventina d’anni, con la famiglia andavamo in montagna e ci piaceva tanto fare escursioni.

Abbiamo cominciato a scegliere le località secondo le mutate esigenze.

La malattia chiede rinunce.

I viaggi… quelli chi se li ricorda più.

Mangiare fuori casa? Ristoranti?

Mi viene l’ansia al solo pensarci.

Mi sento a disagio, temo di star male, anche perché ho problemi che mi possono sorprendere all’improvviso rovinando irrimediabilmente una bella serata.

E così saltano i compleanni importanti, il quarantesimo anniversario di matrimonio… chissà se riuscirò ad allentare i freni in occasione del mio settantesimo compleanno.

E’ innegabile che spunta un velo di tristezza, mi chiedo “perché io no?” perché non posso fare cose semplici che tuttə fanno? Pensiero umano, che non posso censurare.

Ci sono poi difficoltà altre difficoltà.

Per esempio, dover aspettare a lungo per una visita in una sala d’aspetto stando seduta senza poter rilassare spalle e collo: ecco che dopo un’oretta al massimo arriva il dolore.

Devo andare dal dentista e so che passerò più di un’ora sulla poltrona? Vado e porto con me il mio cuscino cervicale e un altro sul quale appoggiare la schiena, la cosa più importante è proteggere me stessa.

Devo stare al computer per qualche motivo importante? Un grosso problema.

Io adoravo stare al computer, montavo video, modificavo foto, elaboravo presentazioni. Amiche e colleghe si rivolgevano a me quando dovevano fare “bella figura”.

Stavo inchiodata al computer sino a notte. Ora è un disastro.

Posso stare mezz’ora, ma non di più: schiena, spalle e collo si fanno sentire prepotentemente, devo “lavorare” a rate.

A proposito di lavoro al computer, c’è altro: prima imparavo sempre da sola e in fretta i programmi, non chiedevo mai aiuto, ci riuscivo sempre.

Ora tutto è cambiato. Non riesco più ad imparare cose nuove in cui sia necessario mantenere l’attenzione, questo è dovuto all’avanzare della malattia.

Addio a miei racconti, pronti per quell’e-book che non riuscirò mai a pubblicare.

C’è altro: ormai mi è impossibile alzarmi presto e soprattutto essere attiva prima delle dieci, il sonno non è ristoratore, ci si sveglia molto stanchi ed è il momento in cui i dolori si fanno sentire particolarmente.

Nel pomeriggio invece si manifesta una gran necessità di dormire e – anche a causa dell’assunzione di farmaci antidolorifici oppioidi. Ho bisogno di dormire qualche ora e se non è indispensabile resto in casa.

Siamo/sono inaffidabile: non so mai come starò il giorno dopo o addirittura tra qualche ora, prendere appuntamenti – che sia per un visita medica o dal parrucchiere – è sempre un rischio.

I lavori domestici non so più che cosa siano, mi limito a cucinare, rassettare la cucina e occuparmi della biancheria da lavare rigorosamente in lavatrice e senza stirare.

Sembrano banalità, ma guardarsi intorno e vedere disordine o accorgersi che ci sono lavori da fare e doversi trattenere è davvero penoso. Ho un aiuto un giorno alla settimana, di più non posso permettermi.

A causa dello scarso movimento, dovuto al dolore cronico, da una vita da magrissima eccomi al primo stadio dell’obesità, con tutte le conseguenze che porta con sé in termini di immagine e autostima.

 

Fibromialgia, diritti negati

C’è un altro elemento da non sottovalutare e che riguarda buona parte di noi persone fibromialgiche: paghiamo più o meno tutte le cure, dai farmaci, agli integratori, alle terapie fisiche e a qualunque altra cosa che ci venga proposta per stare meglio, spesso senza successo.

Paghiamo qualsiasi terapia, non abbiamo nessuna esenzione né sostegno non essendo la patologia riconosciuta, spesso ci sottoponiamo a visite specialistiche ed esami e, per evitare le lunghissime liste d’attesa, ricorriamo a malincuore al privato.

È facile immaginare le conseguenze di tutto ciò, le risorse proprie o del nucleo famigliare si assottigliano sempre più, e ne conseguono ulteriori rinunce e un profondo senso di colpa: “se non possiamo comprare questo, se non ci possiamo permetterci quest’altro, è colpa mia e solo mia”.

L’autostima ne esce a brandelli, anche se chi i nostri cari sono solidali e comprensivi.

 

La coppia e la fibromialgia

Tutto ciò si ripercuote anche all’interno della coppia.

Fortunatamente ho un marito che non mette più in dubbio il mio malessere e non dà a vedere quanto pesino anche a lui le rinunce che siamo costretti a fare.

Ma io so bene che anche la sua vita è fortemente limitata dal mio stato di salute.

Lo so che in teoria è sbagliato, ma il senso di colpa è inevitabile, e – paradossalmente – se posso accettare che la mia vita sia “rovinata”, mi riesce molto più difficile accettare che lo sia anche la sua, visto che lui potrebbe condurre una vita del tutto normale.

Tante, troppe difficoltà: ad alcune si può sopperire con adeguate strategie, per altre l’unica via è la rinuncia. Così lo spazio della propria vita si restringe un pò di più.

 

Reagire alla malattia e fare gruppo

Faccio un passo indietro, torno al 2016.

La conferma della diagnosi è stata per me una liberazione.

Finalmente uscivo dal limbo di chi soffre ma non ne sa il motivo e per gli altri è, forse, un malato immaginario: ora la mia malattia aveva un nome FIBROMIALGIA.

Parallelamente alla conferma della diagnosi di fibromialgia, cerco di informarmi.

Su Facebook trovo non pochi gruppi che trattano di fibromialgia, alcuni palesemente inaffidabili, fino a che “trovo casa” nel gruppo “Comitato Fibromialgici Uniti – Italia”, divenuto in seguito un’Associazione nazionale che porta lo stesso nome.

Lì mi trovo a interagire con persone che hanno gli stessi miei problemi ma, soprattutto, trovo una fonte affidabile che con rigore scientifico e competenza informa sulla patologia e le varie possibilità terapeutiche, sulle novità sul piano della ricerca, sui migliori centri medici in Italia, il tutto attingendo a fonti più che attendibili e – particolare molto importante – con grande e vera empatia.

L’Associazione – pur contando sull’appoggio di un prestigioso comitato scientifico – è fondata e portata avanti da persone malate, in grado quindi di comprendere con atteggiamento non giudicante i bisogni delle persone, le loro ansie, la loro – a tratti – disperazione.

Non sono mai stata incline a lamentarmi.

Avevo davanti due strade: lasciare che il dolore e gli altri disturbi, rinunce e difficoltà legati alla sindrome fibromialgica dominassero la mia vita, o prenderne atto e impegnarmi anch’io per il riconoscimento della fibromialgia.

 

Da malata a militante

Quindi, dopo un’iniziale resistenza per il timore di non riuscire a far fronte agli impegni, sono diventata attiva nella nostra Associazione CFU – Italia O.d.V. e da qualche anno ne sono la referente per la mia città e provincia.

Come molte altre, da malata cronica sono diventata anche “militante”, non saprei con quale altra parola definire l’attività di noi referenti e delle persone comunque impegnate nell’associazione.

Militanza e non solo, perché all’interno dell’associazione si sono creati veri rapporti affettivi e la voglia sincera di sostenerci a vicenda.

Siamo militanti perché combattiamo su vari fronti, non solo per il riconoscimento della Fibromialgia, ma anche per restituire dignità a tante pazientə non credute né dai medici né dai familiari, per fare divulgazione, per aiutare le persone malate come noi a orientarsi nel mondo della cura.

Quello dell’associazionismo è un mondo molto attivo che, facendosi carico di istanze spesso sottovalutate o misconosciute, svolge un ruolo importantissimo, agisce da motore per la diffusione della conoscenza, per l’estensione dei diritti, offre un concreto aiuto alle persone.

Si occupano di fibromialgia più associazioni, meritevoli come la nostra, e spesso si collabora e si tende a obiettivi comuni.

 

Gestire un gruppo di auto-mutuo-aiuto

Personalmente non sono in grado di fare molto, sia per la patologia sia per l’età che non fa sconti a nessuno:

Ho deciso di dedicarmi alla gestione di un gruppo di auto-mutuo-aiuto rivolto alle persone fibromialgiche della mia città e località limitrofe.

Ci ascoltiamo, ci consigliamo, confrontiamo le nostre storie, ci consoliamo, a volte ridiamo di cuore delle nostre disavventure perché le nostre vite per certi aspetti si assomigliano e, insieme, riusciamo a guardarle con un occhio più obiettivo e il giusto distacco.

Questo nostro gruppo dà molto anche a me, perché aiutare gli altri è il miglior modo di aiutare sé stessi e perché la mia “militanza” ha dato senso al mio dolore collocandolo in una cornice diversa.

In questo modo la malattia non è più del tutto padrona delle nostre vite, non ci identifichiamo con la malattia, ma riusciamo a collocarla in uno spazio ben definito senza che ci travolga più come prima.

 

 

Per approfondire

Seminario l’Armatura Invisibile 5 ottobre 2023 – Ra: https://www.cittadinanzattiva-er.it/larmatura-a-invisibile-un-convegno-a-ravenna-sulla-fibromialgia/

CFU Italia – O.D.V.:https://www.cfuitalia.it/

Ad Maiora: https://www.cfuitalia.it/ad-maiora-il-documentario-sulla-fibromialgia-a-potenza-il-27-novembre/

Coordinamento regionale delle Associazioni di malati cronici e rari-CrAMCR: 

Campagna La cura non è un affare di famiglia: https://www.cittadinanzattiva-er.it/caregiver-la-cura-non-e-un-affare-di-famiglia/

Cittadinanzattiva Emilia Romagna, Articoli Caregiver:

Carta delle priorità: https://www.cittadinanzattiva-er.it/carta-delle-priorita-del-caregiver/

Caregiver: https://www.cittadinanzattiva-er.it/category/caregiver/

Campagna Ho Diritto A…: https://www.cittadinanzattiva-er.it/ho-diritto-a/

E se i caregiver non ci fossero davvero?:https://www.cittadinanzattiva-er.it/wp-content/uploads/2021/10/Report_eseicaregivernoncifosserodavvero_2020_PW.pdf

 


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