di Walther Orsi

L’emergenza del coronavirus ha avuto la capacità di mettere in evidenza alcuni nodi che già prima gravavano sul sistema di welfare rivolto alle persone anziane e disabili. Questa pandemia ci ha sbattuto in faccia contraddizioni e problemi che avevamo sottovalutato e che oggi sarebbe molto grave non affrontare. Cito solo i più significativi:
•    la chiusura dei centri diurni e le gravi carenze dell’assistenza domiciliare socio-sanitaria hanno scaricato completamente sulle famiglie il peso della gestione delle persone anziane non autosufficienti, dei malati cronici e dei disabili;
•    i caregiver, molto spesso già gravemente provati dal carico assistenziale, si sono sentiti sempre più soli nella gestione del loro delicato e gravoso lavoro di cura (Cosa è cambiato nella vita dei ‘care giver’ al tempo del Covid – 19?);
•    molti disabili, già privi di opportunità di inclusione sociale e lavorativa, hanno dovuto subire un ulteriore processo di confinamento domiciliare, pesando ulteriormente sulle uniche risorse familiari;
•    disabili ed anziani ospiti di strutture residenziali hanno subito pesanti processi di isolamento, molto spesso senza la possibilità di vedere i propri congiunti;
•    tante famiglie di utenti ospiti di strutture residenziali sono stati tenuti all’oscuro delle condizioni di salute dei loro famigliari e non hanno potuto accompagnare e assistere i loro  congiunti nel percorso finale della loro vita.

In questa fase di uscita dall’emergenza le prime risposte della Regione Emilia Romagna e degli enti locali sembrano fortemente centrate sul settore sanitario ed in particolare sulla riorganizzazione dei pronto soccorso e di alcuni reparti ospedalieri.
Il dibattito sui mass media ed i segnali delle politiche sociali sembrano avere un po’ dimenticato la forte necessità ed urgenza di affrontare in modo complessivo e sistematico i nodi sopra evidenziati. E’ venuto il tempo di ricordare e valorizzare alcuni segnali indicatori che gli operatori socio-sanitari, le famiglie ed i cittadini, nel periodo dell’emergenza, ci hanno comunicato con le loro coraggiose esperienze e progettualità, che richiedono profondi cambiamenti del sistema di welfare.
Cittadinanzattiva in diverse newsletter (n.12n.13n.16n.17) ha rilevato e messo in evidenza molteplici buone pratiche sociali, esperienze e progetti, che spesso hanno coinvolto anziani, disabili, ma anche i giovani, tese a dare risposte innovative a bisogni ignorati, o scarsamente considerati dai servizi di welfare. Queste importanti testimonianze ci spingono con forza a promuovere la costruzione di un “altro welfare”, in cui anziani e disabili, non siano più spettatori, ma protagonisti di innovazione sociale partecipata.
Si tratta di ribaltare un’ottica consolidata, affrontando con coraggio una vera e propria rifondazione del welfare, che metta al centro gli stili di vita, le relazioni di prossimità, le buone pratiche sociali per la produzione di salute, inclusione sociale, benessere e qualità della vita. Un welfare che non sia inteso come peso per la spesa pubblica, ma come fattore di sviluppo per la società a livello economico, sociale, culturale ed etico. Un welfare che coinvolga in modo innovativo non solo le istituzioni, le imprese, le agenzie non profit, ma anche le reti di prossimità e la cittadinanza attiva. Un welfare in grado di attivare nuovi ambiti imprenditoriali e nuove attività lavorative. Per questo lo possiamo definire welfare per l’innovazione sociale partecipata, caratterizzato da alcuni Poli operativi fondamentali che, oltre ad essere rifondati  completamente nella loro mission, dovranno essere strettamente integrati fra loro, attraverso efficaci sistemi comunicativi.

Continua a leggere

 


Segui #lepilloledicittadinanzattiva

#lepilloledicittadinanzattiva