A cura di Marilena Vimercati

Come Cittadinanzattiva ER attraverso la campagna “Ho diritto a…” e attraverso le narrazioni ricevute anche nel periodo dell’emergenza Covid-19, abbiamo dato voce ai caregiver consentendo alle loro storie di entrare nella nostra quotidianità e di essere condivise con la comunità.

Il motto #Caregiveranch’io vuole proprio esprimere solidarietà con i caregiver per le battaglie che quotidianamente conducono per vedere riconosciuto il loro ruolo

La condizione d’esistenza del caregiver è precaria e lo costringe spesso a una vita completamente dedicata ad un familiare, così molte sono le richieste che si sono declinate in un riconoscimento del caregiving come lavoro spesso usurante:

  • usufruire di assistenza domiciliare integrata con monte ore adeguato e formazione specifica del caregiver per poter assistere il familiare ed essere coinvolti nella costruzione del PAI/PEI;
  • fornire servizi a domicilio (es ricetta dematerializzata, consegna farmaci, ecc);
  • creare percorsi di formazione/informazione;
  • dotare i servizi di teleassistenza/telemedicina;
  • attivare servizi di sostegno psicologico e/o di automutuoaiuto;
  • avere a disposizione servizi che intervengano con urgenza nella presa incarico della persona malata in caso di necessità (ad es malattia del caregiver o decesso, o altro).

Contemporaneamente alla raccolta di storie di caregiver abbiamo anche ricercato indagini realizzate da altre realtà interessate al tema del caregiving per avere ulteriori dati da confrontare con quelli ottenuti con la nostra attività. L’unione di voci che provengono da più parti, aumentando l’intensità delle stesse, ha più possibilità di giungere alle orecchie dei decisori delle politiche sanitarie.

“Non siamo un mondo a parte ma una parte del mondo”

Ai caregiver serve una legge di tutela, servono più servizi, a cominciare da quelli domiciliari, ed è necessaria un’attenzione maggiore proprio in questo periodo difficile che incrocia difficoltà pregresse, problemi economici, disagi di salute delle persone assistite e stress psicologico.

Cos’è cambiato nella vita e nelle esigenze dei “caregiver” in questo periodo di isolamento forzato?

Quali esigenze esprimono?

E soprattutto quali indicazioni possiamo trarne per la “fase 2” appena iniziata?

Diverse strutture in Italia si sono poste queste domande e hanno condotto indagini, per lo più tramite questionari online, per rilevare le condizioni di vita dei caregiver nella fase 1 dell’emergenza Covid-19.

Una di queste strutture è il CONFAD-Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità, che nei primi giorni di maggio ha presentato i dati allarmanti che mostrano una fotografia drammatica delle difficoltà che i caregiver hanno dovuto affrontare.

Il motto utilizzato dai partecipanti “Non siamo un mondo a parte ma una parte del mondo” ben descrive il loro bisogno di visibilità.

Il 65% degli intervistati ha dichiarato di non aver avuto nessun contatto con i centri di riferimento della persona non autosufficiente accudita con pesanti conseguenze per quest’ultima: niente fisioterapia, logopedia, infermiere, oss, educatore e nel 74% dei casi non c’è stata nemmeno un’assistenza da remoto. Il carico di accudimento del caregiver familiare è diventato pertanto più gravoso al punto che nell’86% dei casi gli intervistati hanno dichiarato di aver subito un danno fisico/emotivo.

L’aumento del carico di cura e l’incertezza sul lavoro

La carenza di servizi è un dato che emerge anche dallo studio Caregiver e covid 19condotto dal 14 aprile al 3 maggio 2020 da ARS-Associazione per la Ricerca Sociale, capofila di un più ampio progetto biennale Time to carefinanziato dalla Fondazione Cariplo.

I caregiver intervistati, circa un migliaio, hanno risposto mettendo in cima ai “desiderata” i servizi, quei servizi domiciliari che molti di loro, anche prima del coronavirus, non hanno mai visto.

I dati della ricerca

Sempre dallo stesso studio  si evince che alla vita, non sempre facile, dei caregiver, la pandemia ha aggiunto un ulteriore svantaggio: l’incertezza sul lavoro. A causa dell’emergenza sanitaria, il 50% ha temporaneamente ridotto o sospeso l’attività, mentre il 6% l’ha persa in maniera definitiva

Il 45% dichiara che il carico di cura verso i propri cari anziani fragili è aumentato, complici la sospensione o la riduzione dell’aiuto di badanti o assistenti domiciliari.

Dopo quasi due mesi di lockdown, sembrano essere cambiate le esigenze di supporto e aiuto anche in persone che non l’avevano mai preso in considerazione prima d’ora.
L’88% degli intervistati, infatti, cerca informazioni e orientamento sui servizi offerti dal territorio, al primo posto l’assistenza domiciliare. Il 51%, invece, ha necessità di un sostegno psicologico, per se stesso e per la persona assistita.

Catapultati nella cura 24 ore su 24

(Le ricerche internazionali sono state tradotte da Marilena Vimercati)

In Gran Bretagna Presso l’Università di Exeter è in corso  Caring through Coronavirus, una ricerca avviata dal  dottor Siobhan O’Dwyer nello scorso mese di marzo 2020 e finalizzata a esplorare l’esperienza dei caregiver durante la pandemia COVID-19 attraverso una serie di interviste settimanali da concludersi nell’arco di tre mesi a fine maggio 2020.

I risultati dello studio  consentiranno di capire come i caregiver stanno affrontando la pandemia e quali cambiamenti nella politica, nella legislazione e nella fornitura di assistenza sanitaria e sociale stanno incidendo sul loro benessere e sulle loro responsabilità di assistenza.

La testimonianza di Julia Melluish 

Anche in Gran Bretagna molti caregiver erano già in difficoltà prima della pandemia e le prime interviste confermano che la pressione su di loro si è intensificata come rileva la narrazione di Julia Melluish, caregiver  che è entrata a far parte del team dei ricercatori per assisterli e garantire che i metodi e i materiali utilizzati siano adatti ai caregiver: “Quando le scuole chiudono e i servizi di assistenza si sono interrotti, le pause che di solito salvaguardano il nostro benessere sono scomparse. Siamo stati catapultati nella cura 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ed è implacabile. Oltre a tutto quello che faccio normalmente, ora devo assumere tutti i ruoli che di solito svolgono le altre persone – insegnante, terapista occupazionale, fisioterapista – e sarà sempre più faticoso con il passare delle settimane”.

La metodologia

La metodologia utilizzata si caratterizza per due interessanti aspetti: il primo si riferisce alla condivisione settimanale dei risultati con i principali dipartimenti governativi e gli enti di assistenza allo scopo di aiutare il governo, i responsabili dei servizi sociali e gli enti di assistenza ad adattare il supporto fornito ai caregiver alle specifiche esigenze del periodo con possibilità di proseguire con le interviste nel corso dell’anno per studiare gli impatti a lungo termine e la transizione verso la vita “normale” dopo la pandemia; il secondo aspetto riguarda l’inserimento di un caregiver nel team dei ricercatori con una funzione di mediazione tra gli intervistati e i ricercatori.

In aumento il numero dei caregiver

Nonostante non prenda in considerazione la situazione dei caregiver nel periodo dell’emergenza Covid-19 risulta particolarmente significativa l’ultima ricerca sul Caregiving negli Stati Uniti, e che viene condotta ogni cinque anni.

L’aggiornamento del 2020 rivela un aumento del numero di caregiver negli Stati Uniti di 9,5 milioni nel quinquennio dal 2015 al 2020. Dai dati risulta che svolgono il ruolo di caregiver più di un americano su cinque e che presentano condizioni di salute peggiori rispetto a cinque anni fa.

Essi si sentono come all’interno di un “tira e molla” tra assistenza continua, attenzione alla situazione finanziaria, cura della salute personale, gestione della famiglia e dell’attività lavorativa.

Come in tutte le società occidentali la domanda di assistenza aumenta con l’invecchiamento della popolazione e ciò interroga il settore pubblico e quello privato perchè lavorino insieme per sviluppare soluzioni a sostegno dei caregiver e di coloro che sono sotto la loro tutela.

L’urgenza di sostenere il “lavoro muto”

I dati delle ricerche che abbiamo riportato confermano l’ampia dimensione del fenomeno del caregiving, che investe sempre più persone nei diversi paesi e comprovano l’urgenza di ascoltare il “lavoro muto” dei caregiver al fine di predisporre adeguati interventi di supporto e riconoscimento nei confronti di chi svolge di fatto un’azione insostituibile di sostegno al welfare.

 

Foto di Konyvesotto da Pixabay

 

 


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