a cura di Matteo Valoncini

Abitare è abitarsi. La casa è la metafora di noi stessi e del nostro mondo interiore. Nulla più della nostra abitazione è in grado di rivelare chi siamo.

Gaston Bachelard, filosofo francese, definisce la casa come uno spazio che racchiude e comprime il tempo attraverso la memoria e l’immaginazione. E’questo spazio ancestrale che diventa eco e contenitore dei valori di intimità custoditi nel nostro mondo interiore. E’ fra queste mura che si raccolgono i quattro elementi della vita terrestre acqua, terra, aria, fuoco, agenti intermediari fra mondo esterno e interno, e tempo.

La nostra percezione dello scorrere del tempo è inevitabilmente modificata e insieme ad essa anche la percezione dello spazio: abbiamo cambiato le abitudini, rivoluzionato la quotidianità in un’atmosfera caratterizzata da incertezze, nostre e degli altri.

Spazio e tempo sono da sempre le coordinate principali entro le quali l’esistenza umana acquisisce senso e che definiscono i rapporti sociali e i paradigmi valoriali di ciascuno di noi. La situazione che stiamo vivendo ci confina in uno spazio limitato e nel contempo ci spinge a una nuova gestione del tempo che permette di scoprire elementi della nostra identità, ma anche nuove modalità di relazione.

Joana, scopre “un’accoglienza ferma“. Arrivata da poco a Firenze si aspettava di poterla scoprire in tutti i suoi spazi, limitati ora allo spazio dello studentato.  Scrive di come, costretti a un tempo tutto per noi, riscopriamo anche la dimensione del vicinato: le prossimità sempre avute a portata di mano manifestano adesso tutte le loro potenzialità. “Si è trasformata in saluto ogni finestra aperta per le strade”.

Hedda, per esempio, racconta di come la quarantena le abbia permesso di riscoprirsi, di riscoprire casa propria, i propri spazi, tra una margherita e una pentola di ragù.

Francesca, affetta da fibromialgia, s’interroga su i rischi che la situazione di incertezza comporta per la sua salute. Nonostante ciò, condivide con noi la sua forza straordinaria, la sua speranza che ne usciremo migliori: “Chissà, magari questo evento ci aiuterà a interiorizzare il concetto che più accortezze abbiamo verso gli altri più aggiungiamo, e non togliamo, benessere a noi stessi”.

In chiusura la testimonianza di Martina che si sofferma sulla sfasatura tra “la primavera che avanza” e “noi che ci siamo fermati”. Lontana dalla sua sofferente Bergamo, si chiede quando finirà tutto ciò: “Quanto tempo passerà?” È questo che la spaventa di più – ma non vuole lasciarsi andare alla disperazione – “Oggi voglio essere ottimista, lo sono sempre e, nonostante tutto, voglio continuare ad esserlo”. Un grido di speranza nel silenzio assordante che ci circonda.

Queste storie pur nella loro diversità e distanti tra loro hanno in comune un nuovo modo di vivere il tempo e lo spazio: tutti facciamo i conti con una nuova quotidianità; forse non tornerà mai più la quotidianità del “prima”, ma ciò non vuol dire che sia un male.

Foto di Susan Cipriano da Pixabay

 

Io mi abito

a cura di Joana Preza

Sono stata colta dalla quarantena i primissimi giorni del mio trasferimento in studentato, a Firenze. Prima che tutto ciò accadesse ero preoccupata riguardo agli orari del secondo semestre: si prevedano giornate intere di lezione, dalle nove alle diciassette e addirittura il sabato mattina.

Ma ecco che ogni cosa è slittata

È slittata a data ancor da vedere e l’accoglienza nel nuovo quartiere Varlungo si è dilatata. Un’accoglienza ferma però, misurata in brevi tragitti e perimetri, fatta di deserti di parole che tornano indietro. Mi educa dunque la quarantena a vivermi prima gli spazi interni, le camere, gli altri studenti della struttura, a festeggiare ogni millimetro di crescita delle piante, a portare a termine soprattutto lavori personali e  che avevo tralasciato o rimandato, e rispolverare vecchi rituali.

Per continuare la lettura:https://www.cittadinanzattiva-er.it/io-mi-abito/

 

Carpe diem al tempo del coronavirus

a cura di Hedda Forlivesi

Le margherite che nascono e crescono nel mio giardino, si stanno aprendo al sole mostrando una faccina più aperta, più larga del solito: sono felici. Hanno anticipato la loro fioritura in conseguenza delle mutate condizioni metereologiche e climatiche. Ma il giardino è sempre lo stesso che mi saluta, ogni mattina, quando apro la porta sul cortile. Allora? Che cosa sta succedendo, sono forse divenuta improvvisamente “floricultrice”?  Ho sempre amato i fiori di cui mi circondo anche in casa e amo la natura, di cui mi sento figlia, in tutte le sue manifestazioni esteriori, ma oggi?

Oggi ho tempo di fermarmi a guardare

Non devo correre, uscire a fare chiacchiere. È come se il mondo si fosse fermato per lasciarmi il tempo di guardarmi intorno. Scopro l’importanza del cellulare che mi consente di tessere conversazioni con parenti, amici, persone non dimenticate ma allontanate a causa del frenetico correre che ci impone la vita di oggi. Posso dedicarmi alla lettura del mio quotidiano preferito, ma anche del libro acquistato e riposto in attesa della voglia. Eccomi oggi sono questa persona, disposta ad obbedire alle imposizioni che lo stato ci propina per uscire dal c… in cui ci siamo cacciati, non si sa per colpa di chi.

Per continuare la lettura: https://www.cittadinanzattiva-er.it/carpe-diem-al-tempo-del-coronavirus/

 

Vivere nell’incertezza e nella speranza

a cura di Francesca Rossi

Tante paure, tante incertezze

Ovviamente non posso affermare che la mia quotidianità non sia cambiata, anche se con il passare dei giorni e delle settimane mi sono resa conto che da quando la mia patologia cronica si è accentuata, tante sensazioni, tante paure, tante incertezze e tante situazioni sono le stesse che vivo quotidianamente anche nella normalità.

Mi chiamo Francesca, ho 44 anni e quando ne avevo 32, dopo alcuni anni di accertamenti tra visite ed esami, mi è stata diagnosticata la “Fibromialgia”. Anche denominata “Sindrome Fibromialgica”, è una patologia cronica invalidante, il cui sintomo principale è il dolore muscolo-scheletrico diffuso in tutto il corpo associato ad una moltitudine di altri sintomi che possono arrivare fino ad un centinaio. Per questo motivo non mi dilungherò a descriverli o spiegare le relative conseguenze fisiche, economiche, lavorative, ma vorrei cercare di fornire un quadro della situazione di chi come me vive con una malattia cronica invalidante non riconosciuta prima e dopo il Covid-19.

La cosa che mi faceva più soffrire era l’etichetta di ammalato immaginario

Per continuare la lettura:https://www.cittadinanzattiva-er.it/vivere-nellincertezza-e-nella-speranza/

We’re gonna have a good time

a cura di Martina Ghezzi

In sottofondo i Primal Scream, Loaded

Una tazza di caffè e il computer acceso. Il salone di casa è la mia nuova postazione lavorativa per questi giorni di reclusione. Gli alberi sui viali hanno cominciato a mettere le foglie. La primavera, arrivata silenziosamente sabato 21 Marzo, va avanti, ma noi ci siamo fermati, come cristallizzati in giornate diventate ufficialmente tutte uguali. Ebbene, siamo entrati nella terza settimana di questa quarantena, e se all’inizio la situazione mi pareva così surreale e strana da non sembrare vera, ora sono talmente abituata alla monotonia che la normalità assume tratti surreali, quasi incomprensibili.

Sono tutte mie fantasie o queste cose sono esistite davvero?

Il corso serale di teatro, le uscite di martedì sera per andare a vedere le partite di Champions League al pub, il sapore di uno spritz annacquato bevuto sulle scale in Piazza Maggiore, la passeggiata giornaliera per andare al lavoro, gli sconosciuti che cantano e suonano in piazza San Francesco…

Sto – ovviamente – esagerando, non è vero che mi sono dimenticata di tutte le cose belle che potevamo fare quando uscire di casa era la cosa più normale del mondo.

Per continuare la lettura:https://www.cittadinanzattiva-er.it/were-gonna-have-a-good-time/

 


Segui #lepilloledicittadinanzattiva

#lepilloledicittadinanzattiva