di Walther Orsi

Stiamo vivendo un periodo di grandi incertezze che, anche solo poche settimane fa, nessuno avrebbe previsto. Ci siamo interrogati sulle cause, sui rischi e le conseguenze del ‘coronavirus’. Abbiamo dovuto cambiare abitudini e comportamenti, ci siamo sentiti tutti un po’ più fragili e disorientati.
Spesso le incertezze hanno generato paura, disagio, a volte anche angoscia.
A periodi alterni, ma anche in relazione alla zona di residenza, abbiamo rischiato a volte di sopravalutare, o di sottovalutare il fenomeno.
Abbiamo assistito a dibattiti infiniti, con la presenza di politici, esperti e giornalisti, che spesso hanno contribuito a stimolare dubbi sulla capacità di chi governa le risposte all’emergenza e sull’efficacia delle stesse.
Sono emerse anche strumentalizzazioni, da parte di politici, scienziati, giornalisti, tese a delegittimare gli addetti ai lavori, ma a volte anche a generare fantasiose interpretazioni sulle cause e sui complotti che hanno provocato il ‘coronavirus’.
Tutti abbiamo sentito la stanchezza di essere immersi in un sistema comunicativo monotematico che tende a rimuovere altri contenuti e problematiche.
Per fortuna molti hanno colto l’occasione per trasformare i disagi, le difficoltà, le paure in nuove opportunità, per quanto riguarda la ricerca di altri valori, modelli interpretativi, atteggiamenti, comportamenti e relazioni.
Come dice Alessandro Bergonzoni: “siamo invitati a un nuovo tavolo delle trattative con la scienza, le religioni, le culture, le economie, alla ricerca di nuove idee, per riscrivere i nostri valori in corso”.

Come cittadini attivi siamo chiamati a interrogarci sull’adeguatezza di determinati paradigmi di riferimento e a rielaborare le modalità di delega e di collaborazione con gli addetti ai lavori. L’emergenza del ‘coronavirus’  infatti se da un lato afferma la centralità degli esperti, dall’altro mette in evidenza l’importanza dei comportamenti dei cittadini e la loro collaborazione con i servizi, per sconfiggere il virus. Questa emergenza, con le sue incertezze, fa comprendere meglio il senso di determinati limiti della società in cui viviamo, ma anche il senso di nuovi scenari possibili che finora abbiamo ignorato, o sottovalutato.

Provo ad accennarli in modo sintetico, per parole chiave:
•    questa emergenza, come tante altre che abbiamo vissuto, ha dimostrato la grande capacità degli italiani di reagire e di collaborare con tutti gli addetti della protezione civile e dei servizi sanitari, sempre dotati di grande professionalità e senso del dovere; quello che dovremmo imparare è di impegnarci a costruire, progressivamente e nella quotidianità, un sistema operativo esperto in grado anche di prevenire, o ridurre l’impatto di determinate emergenze;
•    non è importante solo l’economia, ma soprattutto la salute dei cittadinicercare di coniugare economia e salute può aprire nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro;
•    sviluppo e innovazione non possono fare riferimento solo a nuove applicazioni scientifiche e tecnologiche, ma alla riscoperta dei valori civici, al miglioramento dei rapporti umaninon possono essere misurati solo con il PIL, ma con indicatori di benessere equo e sostenibile (BES);
•    l’emergenza lavoro, soprattutto per i giovani, non può essere risolta solo con nuovi investimenti produttivi e interventi di welfare, ma deve promuovere una profonda ridistribuzione delle opportunità e delle forme lavorative fra i cittadini e una completa riorganizzazione del rapporto fra i diversi tempi (dedicati alla formazione, al lavoro, alla cura, al volontariato, al tempo libero) che caratterizzano i vari cicli di vita (età evolutiva, adulta, anziana) e i sessi;
•    i problemi del cambiamento climatico non possono essere risolti solo attraverso una delega alle istituzioni, ai sistemi produttivi e tecnologici, ma richiedono da un lato un profondo cambiamento dei nostri valori, modelli comportamentali e di consumo; dall’altro una maggiore responsabilizzazione dei cittadini e degli imprenditori nella ricerca di nuove sinergie fra tutela dell’ambiente, economia civile e sviluppo sostenibile;
•    i limiti e i problemi generati dalla globalizzazione, non possono essere governati solo attraverso maggiori autonomie istituzionali e amministrative, ma anche con migliori forme di coordinamento nazionale, europeo e internazionale;
•    la comunicazione pubblica non può essere delegata solo agli opinionisti, ai social e mass media, ma deve promuovere nuove relazioni interpersonali, nuovi sistemi di condivisione di senso, di esperienze e di progettualità da parte dei cittadini;
•    la funzione educativa delle nuove generazioni, anche in relazione a determinate emergenze (ad esempio: il bullismo, la violenza gratuita degli adolescenti, il fenomeno dei Neet), non può essere interamente delegata alle agenzie specializzate e ai professionisti, ma deve prevedere una nuova responsabilizzazione dei genitori, dei cittadini e delle reti comunitarie, per una comunità educante. A tale proposito, in questo periodo di emergenza, con la chiusura delle scuole, i genitori hanno dovuto occuparsi a tempo pieno dei loro figli, hanno coinvolto i nonni e attivato anche nuove reti solidaristiche, sperimentando quindi delle particolari forme di comunità educante.

Proprio in relazione a quest’ultimo scenario, vorrei riallacciarmi a quanto ha affermato Paola Cuzzani nell’ultima newsletter, dal titolo: “Cittadinanza attiva e scuola: scommettiamo sui valori civici!”, perché io credo stiamo vivendo una vera e propria emergenza educativa.
Concordo pienamente sui contenuti che lei sviluppa, in particolare sull’opportunità di promuovere l’educazione civica nelle scuole, con il contributo dei cittadini attivi, attraverso un metodo che non è quello del docente, “ma quello del compagno di strada che ha fatto esperienze diverse, anche in tempi non vicinissimi e che si propone di raccontarle, accompagnando il ragazzo o la la ragazza in un vissuto ancora possibile e realizzabile, mantenendo sempre però un’attenzione quasi maniacale all’ascolto e al confronto con i suoi interlocutori”. L’educazione civica può essere proposta “come una specie di ricerca, osservazione e di sperimentazione di ciò che non va e di ciò che invece va molto bene. Una passeggiata in un parco, un piccolo trekking può non essere solo un’attività fisica, ma potrebbe trasformarsi anche in una divertente esperienza di apprendimento all’aperto, dove il sentiero pulito è la cosa buona, curata, mentre il sentiero con le cartacce o le bottiglie usate, di vetro o di plastica abbandonate, sono la cosa cattiva, sono l’incuria, la sporcizia e l’abbandono”.
L’educazione civica nelle scuole, attraverso il coinvolgimento dei cittadini attivi, dei genitori, della comunità e del territorio, rappresenta un modo per sviluppare una nuova alleanza fra educatori per supportare gli insegnanti nel loro prezioso e difficile compito.
Nel medio e lungo periodo scopriremo che, in questo modo, sarà possibile anche prevenire e affrontare alcuni preoccupanti fenomeni che stanno dilagando, come il bullismo, la violenza gratuita degli adolescenti nei confronti dei coetanei, lo scarso rispetto delle regole di convivenza, dell’ambiente e dei beni comuni.
In questa prospettiva sarà possibile sostenere e migliorare quel percorso, orientato verso una ‘comunità educante’, che vuole di nuovo mettere al centro i bisogni e le risorse dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, riscoprire il piacere della funzione educativa e quindi anche combattere quella crisi demografica che caratterizza la nostra società.
Il termine ‘comunità educante’ non rappresenta qualcosa di astratto o di utopico, ma tende ad assumere significati molto precisi se si fa riferimento alle tante esperienze concrete sviluppate dai cittadini in diverse contesti territoriali.


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