di Francesca Capoccia

Negli ultimi mesi siamo stati testimoni di come la pandemia globale abbia fatto emergere tutte le problematiche della società. Ci siamo resi conto di come sia necessario assumere uno stile di vita che tenga conto di determinati principi e valori, quali: tutela e sostenibilità ambientaleistruzioneinclusività e innovazione sociale partecipataimportanza giovanile. Tra le varie preoccupazioni dobbiamo aggiungere una delle più importanti nonché una delle più sottovalutate, ovvero il ruolo e il valore non riconosciuto delle donne e del loro lavoro all’interno della società. 
A pagare il prezzo più alto di questa pandemia saranno quasi sicuramente le donne. Sono più esposte alla malattia, sono più impiegate in lavori a rischio, sono maggiormente coinvolte anche nelle attività di cura, ma sono anche le più interessate dalle conseguenze indirette del lockdown, in quanto esposte a un maggiore carico di lavoro a supporto dei figli e della famiglia e un maggiore rischio di perdere o lasciare il lavoro. Tra le varie difficoltà va aggiunta anche l’aumento della violenza di genere.

La pandemia ha quindi accentuato, e continua a farlo, i divari di genere. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha presentato un policy brief che indaga l’impatto del COVID-19 sulle donne, individuando i 5 ambiti in cui la pandemia produrrà un impatto specifico sulle donne, aggravando disuguaglianze di genere. In particolare, il report considera gli impatti nell’ambito economico, della salute, del lavoro di cura non retribuito, della violenza di genere e nei contesti di fragilità, conflitto o altre emergenze.
La perdita di lavoro e mancanza di opportunità si sono tradotte in un forte calo dell’occupazione femminile. Tra l’altro, è stato registrato che un terzo delle donne lavoratrici ha un orario part-time quasi 4 volte il tasso degli uomini (30% contro l’8%). Queste forme di debolezza si accentuano in tempi di crisi: contratti che si interrompono o che non vengono rinnovati, con interi settori in difficoltà occupazionale.

Pure il lockdown ha avuto un significato diverso per uomini e donne, perché queste ultime si sono dovute occupare sia del lavoro retribuito a tempo pieno, sia di mandare avanti la famiglia. Farlo in situazioni normali è già difficile, figuriamoci in piena pandemia.
Il lavoro essenziale per il funzionamento quotidiano di ogni comunità è quello di prendersi cura gli uni degli altri. E’ un lavoro sottopagato, nella maggior parte dei casi addirittura non retribuito, e lo fanno prevalentemente le donne. E’ stato stimato che l’ammontare del lavoro non retribuito corrisponde quasi al cinquanta per cento del Pil dei Paesi ricchi, arrivando persino a soglie dell’80% dei Paesi in via di sviluppo.
Negli ultimi anni la quota di occupazione femminile è aumentata fino a eguagliare quasi quella maschile, ma la quota di lavoro domestico svolta dagli uomini è ancora molto bassa.
Secondo il report, quasi il 60% delle donne in tutto il mondo lavora nell’economia informale, guadagnando di meno (nel mondo il gender pay gap arriva anche al 35% per la stessa mansione), avendo minore possibilità di risparmiare e con un rischio maggiore di finire sotto la soglia di povertà. Con la caduta dei mercati e la chiusura delle imprese, milioni di posti di lavoro femminili rischiano di scomparire. Contemporaneamente alla perdita di un’occupazione retribuita, il lavoro di assistenza non retribuita delle donne è aumentato in modo esponenziale a causa della chiusura delle scuole e delle crescenti esigenze delle persone anziane.

Non esiste una donna non lavoratrice; al massimo esiste una donna non pagata per il suo lavoro. In Italia, ad esempio, il 61% del lavoro femminile è lavoro non retribuito. E il carico di lavoro supplementare si ripercuote negativamente sulla salute delle donne, mentre il resto della società ne trae vantaggio.

Proprio quest’anno, poi, si celebra il venticinquesimo anniversario della Quarta conferenza mondiale delle donne delle Nazioni Unite, in cui la comunità internazionale ha adottato la Dichiarazione e la piattaforma d’azione di Pechino, dove i movimenti di tutto il mondo hanno affermato la propria pretesa di “guardare il mondo con occhi di donna” e hanno proclamato che “i diritti delle donne sono diritti umani“. Le parole chiave della conferenza erano “punto di vista di genere“, “empowerment“.
Dato che l’intera società dipende dal lavoro non retribuito delle donne e da quel lavoro trae beneficio, è ora di dare importanza e riconoscere il loro valore. Dopotutto, le donne sono più della metà della popolazione, e abbiamo visto come il loro lavoro, sia retribuito sia non retribuito, sia fondamentale per mandare avanti la società.
Le buone pratiche sociali delle donne, inserite nel sito, rappresentano delle ulteriori conferme di quanto ho accennato.

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