di Walther Orsi

Il ‘coronavirus’ ha stimolato ad occuparci in modo nuovo di altre importanti fenomeni. L’emergenza del lavoro era già prioritaria prima del manifestarsi della pandemia e oggi si manifesta in tutta la sua drammaticità. Tutti abbiamo sotto gli occhi le difficoltà di tante attività produttive che sono state messe in crisi da questo tragico evento. Alcune imprese hanno chiuso definitivamente, altre avranno grandi difficoltà a riprendere la propria attività. Tutto questo non può che avere conseguenze nefaste sul mondo del lavoro. C’è chi considera questo periodo molto simile a quello caratterizzato dalla crisi del 1929, in cui larghe fasce di popolazione furono estromesse dal mondo del lavoro e caddero in situazioni di vera e propria  povertà. Credo che ogni periodo della storia abbia delle specifiche identità e sia azzardato fare paragoni con quanto è successo in passato. Ricordare quel periodo può rappresentare però uno stimolo a cogliere il senso di questa grande crisi che stiamo vivendo.  Essa sta coinvolgendo moltissimi ambiti operativi, non solo a livello  economico e politico-amministrativo, perché va ad incidere profondamente su gli atteggiamenti, i comportamenti, i valori, le culture e le relazioni delle persone e delle comunità.
Per affrontare  le problematiche del lavoro, fortemente aggravate dall’emergenza del coronavirus, è necessario avviare un profondo ripensamento del sistema delle relazioni fra i tre sottosistemi che, secondo Polanyi, compongono la società (economico, politico-amministrativo e socio-culturale). Per sviluppare questa  operazione occorre fare un breve richiamo alla situazione del lavoro come si presentava già prima dell’emergenza ‘coronavirus’. Occorre innanzitutto mettere in evidenza il fenomeno della mancanza di lavoro e quindi  della disoccupazione in Italia. Come si presentava? Da tempo  tale dato era attestato  sul 10% , con punte del 13,5%. La disoccupazione giovanile – 15-24 anni – raggiungeva livelli di circa il 30%. Quali le cause di questa disoccupazione? Senza dubbio non si trattava di un fenomeno contingente e passeggero ma “strutturale”,  provocato principalmente da  una evidente riduzione dei posti di lavoro a motivo: della globalizzazione, dello sviluppo delle nuove tecnologie, di nuovi modelli produttivi che scaricano sul consumatore le ultime fasi dei processi produttivi (ad esempio, quello adottato dall’Ikea), di una imprenditorialità scarsamente attenta ai nuovi bisogni di benessere e qualità della vita.

Mutamenti sociali ed effetti perversi del ‘non lavoro’

Ma quali effetti e mutamenti  sociali sono stati provocati dalle crescenti situazioni di ‘non lavoro’? Già in passato esse avevano provocato disuguaglianze sociali e condizioni di povertà che rischiano oggi di aumentare ulteriormente a causa dell’emergenza ‘coronavirus’. La mancanza di prospettive di lavoro e di vita soprattutto per i giovani aveva già provocato molti effetti negativi: perdita di speranza, riduzione delle motivazioni e delle opportunità imprenditoriali, forti  flussi  di emigrazione, verso altri paesi, di giovani che hanno alle spalle percorsi formativi qualificati, alla ricerca di opportunità professionali più adeguate che non sono disponibili in Italia; forte flusso di immigrazione tesa a rispondere alle necessità di attività lavorative scarsamente qualificate che non trovano risposte adeguate nell’ambito del mercato del lavoro.
Non si possono però anche dimenticare le risposte errate, o non pienamente adeguate, per rispondere al fenomeno. Ricordo le principali: stimolazione eccessiva dei consumi individuali, con induzione di falsi bisogni; creazione di  ritmi operativi esasperanti che impoveriscono la qualità del lavoro; aumento delle situazioni di precarietà lavorativa che condizionano pesantemente i progetti di vita delle persone, in particolare i giovani; sovrabbondanza di beni prodotti, con la conseguente  creazione di ‘rifiuti’, di difficile smaltimento; le attività produttive non hanno avuto alcuna attenzione alla dimensione ecologica, che ha portato ad un diffuso degrado ambientale.
Queste profonde distorsioni nelle attività imprenditoriali e lavorative rischiano oggi una forte accentuazione, soprattutto nella fase 2 dell’emergenza in cui stiamo entrando, perché, come afferma il virologo Pregliasco: “con il virus dovremo convivere almeno fino a quando non ci sarà il vaccino”. Non possiamo quindi solo trovare soluzioni di adattamento temporaneo, ma ripensare profondamente le politiche ed i comportamenti dei cittadini in tema di lavoro.
Di fronte ai problemi relativi alle situazioni di non lavoro, di disoccupazione, di cassa integrazione, di precarietà e scarsa qualità del lavoro, riteniamo  necessario un quadro interpretativo che tenga anche conto di una crisi pre-esistente non solo economica, ma anche sociale, culturale, ed etica, che avevamo già sperimentato. Essa è stata rivelata, in modo molto evidente, dall’emergenza ‘coronavirus. Tale crisi non poteva essere considerata temporanea, bensì strutturale e di sistema, perché  originata dai crescenti problemi di integrazione dei valori e delle culture, quindi delle logiche dei tre sottosistemi della società a cui abbiamo fatto riferimento: quella dello ‘scambio’, relativa al sottosistema economico, quella della redistribuzione, relativa al sottosistema politico-amministrativo, quella della reciprocità, relativa al sottosistema socio-culturale.
 

Riscopriamo i valori prioritari

La situazione di emergenza che stiamo vivendo tende a dare priorità ai valori della sicurezza, della salute e della qualità della vita dei cittadini. Orientati da questi obiettivi prioritari, occorre individuare nuove ibridazioni  e sinergie fra le logiche dei tre sottosistemi della società, attraverso la ridefinizione delle funzioni e dei ruoli svolti da tutti gli attori sociali. Si possono, a questo proposito fare alcuni esempi.
Nell’ambito del sottosistema economico, proprio in questa prospettiva, i cittadini cominciano ad affidarsi ad altre forme di integrazione, che non possono essere tutte incluse nella logica dello scambio; ci si riferisce, ad esempio ai cosiddetti Gruppi di Acquisto Solidali, al Mercato equo e solidale, alla Banca Etica, ma anche alle tante iniziative benefiche di molte imprese a favore degli operatori sanitari, sviluppate spontaneamente nel corso di questa emergenza,  che seguono logiche più legate alla redistribuzione e alla reciprocità. Ma anche nel sottosistema politico-amministrativo emergono altre forme di integrazione che vanno oltre la specifica logica  redistributiva; per quanto riguarda i servizi di welfare, si possono ricordare, ad esempio, sia le diverse forme di coinvolgimento degli ospedali privati, per la gestione dei contagiati e dei malati in terapia intensiva (in una logica di mercato), sia il rilevante contributo delle reti di volontariato e di auto-mutuo aiuto per il sostegno delle persone sole, che si manifesta  in modo particolare in questa difficile situazione di crescente isolamento (in una logica di reciprocità). E infine, nell’ambito del sottosistema socio-culturale, emergono altre forme di integrazione che vanno oltre la specifica logica della reciprocità. Il ruolo delle tecnologie in particolare ha sviluppato nuove forme organizzative e reti comunicative che tendono ad attivare anche innovazioni nelle logiche redistributive (ad esempio: le attività didattiche on line svolte dagli insegnanti, in questo periodo di chiusura delle scuole, la teleassistenza e telemedicina), di scambio (ad esempio: nei servizi formativi, con la formazione a distanza, nelle attività produttive con lo smart-working) e socio-culturali (ad esempio: i blog, i forum, i programmi tematici su internet, le crescenti relazioni on line).
Occorre sottolineare però che la crisi economica, sociale, culturale ed etica, che stiamo vivendo non  potrà mai essere affrontata in modo adeguato se non si avvierà un significativo processo di equa  redistribuzione ed armonizzazione delle fasi  e dei tempi di vita. Cosa significa questo?

I paradossi della nostra società

Innanzitutto occorre prendere consapevolezza  dei paradossi che la nostra società sta avallando, senza alcuna prospettiva di soluzione. Ne accenniamo alcuni:
  • un sistema formativo sempre più lungo che spesso non serve per un futuro percorso lavorativo;
  • un sistema formativo che perde per strada tanti giovani che si ritrovano nella situazione dei Neet (che non studiano e non lavorano);
  • un sistema formativo autoreferenziale che spesso non tiene conto delle esigenze del mercato del lavoro;
  • tanti giovani, con lauree, dottorati e master, costretti ad emigrare;
  • una società, con livelli di disoccupazione molto alti, soprattutto fra i giovani, che però non riesce a ricoprire determinati posti di lavoro;
  • un diffuso pregiudizio nei confronti degli immigrati che invece sono gli unici in grado di svolgere determinati lavori rifiutati dagli italiani;
  • una precarietà crescente dei posti di lavoro occupati dai giovani che così sono impossibilitati a sviluppare qualsiasi progetto di vita e che, in prospettiva, non maturano adeguate assistenze pensionistiche;
  • un mercato del lavoro che non garantisce un’equa distribuzione delle retribuzioni, delle tutele, delle garanzie normative, degli orari di lavoro, in relazione alle diverse classi d’età, ai sessi, alle culture e ai territori di riferimento;
  • il licenziamento di adulti, con notevoli esperienze lavorative, che però hanno scarse possibilità di rientrare in modo attivo nel mercato del lavoro, e non hanno ancora l’età per il pensionamento, con un grande spreco di risorse umane e professionali;
  • un sistema pensionistico costoso, scarsamente equo e sostenibile che, in futuro, non sarà più in grado di garantire un’adeguata copertura assistenziale ai giovani di oggi, appena inseriti nel mondo del lavoro;
  • la solitudine di tanti anziani che, dopo l’uscita dal mondo del lavoro, hanno perso tutti i ruoli e le opportunità di un loro riconoscimento sociale.

Promuoviamo una equa distribuzione del tempo di lavoro retribuito

Per tentare di rimuovere progressivamente i paradossi individuati è necessario  responsabilizzare le persone, le imprese, le istituzioni a promuovere una più equa distribuzione del tempo di lavoro retribuito fra le persone, ma anche degli altri tempi di vita, nelle varie fasi esistenziali (dedicati in particolare alla formazione, alla cura, al volontariato, alla cittadinanza attiva, al divertimento, alle relazioni affettive ed amicali). Non ha senso la situazione attuale in cui da un lato determinate persone hanno ritmi e tempi  di lavoro totalizzanti che non lasciano spazio agli ulteriori tempi di vita ed altre invece che non  hanno alcuna possibilità di sperimentare la dimensione del lavoro retribuito. Si tratta di avere il coraggio di  realizzare quello che si era già intuito negli anni settanta e che faceva riferimento allo slogan “lavorare meno, lavorare tutti”. Allora sembrava un’idea utopistica della sinistra rivoluzionaria, oggi  viene riproposta da importanti protagonisti delle istituzioni, come l’attuale Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che dice: “la riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario, è una leva per redistribuire ricchezza e per aumentare l’occupazione”. “Siamo fermi in Italia all’ultima riduzione di orario del ’69. Non ci sono riduzioni da 50 anni, invece andrebbero fatte. Gli incrementi di produttività vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero”.
Dare la possibilità a tutti di avere un giusto tempo per il lavoro retribuito può consentire  non  solo di dare spazio al tempo libero, ma anche al tempo della cura (che deve consentire un riequilibrio delle responsabilità fra i due sessi), al tempo dell’impegno civico e sociale. A questo proposito promuovere una responsabilizzazione diffusa delle persone per tali attività può consentire di liberare quella creatività e progettualità che, in questo periodo di emergenza, hanno rivelato tutta la loro capacità innovativa. Esse tendono ad integrare e a consolidare le tante buone pratiche sociali che finora erano state sviluppate proprio dall’associazionismo, dal volontariato e dalla cittadinanza attiva.

Aprire nuovi scenari ed ambiti imprenditoriali

Voglio sottolineare che questa grande creatività, progettualità e capacità innovativa liberata tende ad aprire nuovi scenari ed ambiti imprenditoriali, non solo per gestire  questa fase 2 dell’emergenza, ma anche per sviluppare ulteriori opportunità lavorative ed una riconversione produttiva, tese a garantire sicurezza, salute, qualità della vita. Mi limito ad individuare, qui di seguito, alcune esemplificazioni, a partire da alcune buone pratiche sociali di cittadinanza attiva, tratte dal sito di Cittadinanzattiva Emilia Romagna (https://buonepratichesociali.cittadinanzattiva-er.it).
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Una classe da favola: i ragazzi diventano editori”, “Un pensionato racconta una storia ai bambini”, “I supereroi di nonna Lidia”, “Una start-up contro i bulli”, “Ester Pantano il mio set con i ragazzi”, “Fumare è veramente così bello?”, “Playoff contro i vandali”, “Dico NO all’alcol”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi alla prevenzione del disagio giovanile, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, che possono fare riferimento alla educazione civica e all’orientamento professionale, quali: attività scolastiche integrative, interventi di orientamento formativo, esperienze di alternanza scuola-lavoro, stages di formazione-lavoro, campi estivi, esperienze di volontariato e di cittadinanza attiva, scambi culturali, anche a distanza, con ragazzi di altre nazioni, educazione ed orientamento alle attività sportive, interventi di consulenza psicologica e sociale.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Le ecosalviette salva-cibo fatte di resina e cera d’api”, “Meno lattine, più cultura”,”Noi i negozi anti-sprechi”, “Gomme usate? Dalla discarica al tavolino del salotto”, “Piantiamo alberi nei luoghi abbandonati”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi alla tutela dell’ambiente, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, che possono fare riferimento alla green economy, quali: produzione di energie alternative da fonti rinnovabili, fotovoltaico e solare termico, bioedilizia, agricoltura biologica, raccolta differenziata, riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti, attività promozionali tese ad incentivare il consumo responsabile, valorizzazione del consumo di beni prodotti in Italia e a livello locale (a Km. 0), sia per favorire i piccoli commercianti che operano in zona, sia per ridurre il più possibile l’impatto ambientale dei trasporti.
  • Le seguenti buone pratiche sociali “Volo da te! (Però in treno: inquina meno)”, “Zia Caterina e la taxi-terapia”, “Viaggi senza barriere. E la prova sono io”, “Aspettando lo scuolabus”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi ad una mobilità solidale, eco-sostenibile e che tenga conto delle attuali regole di sicurezza sanitaria, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, che possono fare riferimento alla promozione di sistemi di trasporto a basso impatto ambientale e sociale, quali: trasporto pubblico non inquinante e sicuro a livello sanitario, carsharing, carpooling, servizi per incentivare l’uso della bicicletta, il passaggio dal trasporto aereo, o su gomma, a quello su ferrovia, o via acqua, attività per favorire il trasporto sociale.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Arriva il taxi delle sei ruote”, “Scienza contro la noia”, “Donne schiave trasformate in produttrici di gioielli”, “I giovani di Borgo Pilotti. La ripresa dopo il sisma”,Work-Lab: Uno spazio di sostegno, formazione e accompagnamento alla ricerca attiva del lavoro”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi alla  alla fragilità e alla non autosufficienza delle persone,  ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, quali: nuove tecnologie comunicative e formative, sistemi logistici innovativi e interventi personalizzati di manutenzione e assistenza tesi a sviluppare attività commerciali e di artigianato in grado di garantire consegne e servizi di qualità a domicilio, attività di riparazione, pronto intervento e messa in sicurezza degli impianti della casa, ma anche promozione di nuove reti relazionali, attraverso la collaborazione di condomini disponibili, volontari, artigiani/commercianti, potenziamento e nuove forme di assistenza socio-sanitaria domiciliare.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Il portierato in Via San Leonardo”, ”Il condominio apre la soffitta”, “Co-Housing – Stradelli guelfi”)  mettono in evidenza nuovi bisogni relativi alla crescente  solitudine delle persone e delle famiglie,  ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, quali: co-housing,  condomini solidali, portierato sociale e assistenza domiciliare, che potranno prevedere progettazioni e ristrutturazioni edilizie, sviluppo di nuove tecnologie comunicative, di  servizi tesi a favorire la sicurezza, lo scambio di risorse strutturali, economiche, culturali, relazionali e di tempo delle persone, potenziamento dei servizi e-care e di teleassistenza.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“I guardiani della porta accanto”, “Armida e Carlotta, due donne e un fine: aiutare gli altri”, “Oggi ho accolto Dodou. Credo che andremo d’accordo”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi alla crescente e continua trasformazione delle famiglie, legate ad una maggiore mobilità delle persone e alle trasformazioni familiari, relative ai diversi cicli di vita, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, quali: progettazione e ristrutturazione di ‘case intelligenti e a geometria variabile’ che potranno prevedere progettazioni e ristrutturazioni edilizie, tese ad adattare gli spazi abitativi in rapporto all’evoluzione delle esigenze famigliari e a ridurre lo spreco degli spazi abitativi, ma anche lo sviluppo di nuove tecnologie comunicative, della domotica, di internet delle cose, tese a migliorare la sicurezza e la funzionalità delle abitazioni ed un migliore utilizzo delle risorse economiche delle famiglie.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Decoro del Mercato Albani”, “Manutenzione ordinaria e tutela igienica del Parco dei Cedri”, “Cura del vialetto pedonale”, “Una video bacheca informativa per Via del Pratello”, “Riqualificazione Via de’ Falegnami”, “Valorizzazione della zona Birra”, “E ora il parchetto è un’oasi da vivere”) mettono in evidenza nuovi bisogni relativi all’esigenza di garantire l’accoglienza, l’inclusione sociale e la sicurezza nelle città, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, che fanno riferimento alla rigenerazione urbana e del territorio, quali: attività di manutenzione e miglioramento delle risorse pubbliche e dei beni comuni (spiagge, parchi, strade, sedi di servizi, scuole, centri sociali), interventi per favorire il riutilizzo e la valorizzazione  di edifici abbandonati (fabbriche, caserme, vecchie sedi di servizio), attività di animazione per favorire l’accoglienza, l’integrazione sociale e culturale delle persone sole, fragili svantaggiate,  interventi sociali per migliorare la qualità della vita e il benessere della comunità,  interventi di prevenzione e protezione civile, promozione delle attività degli imprenditori e dei commercianti, che operano nel territorio, per valorizzare l’originalità dell’economia e dei prodotti locali.    
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Valorizzazione della zona Birra”, “Graf San Donato – La piazza è il nostro giardino”, “Cinnica! Libera consulta per una città amica dell’infanzia”, “Eventi ‘young friendly’ al Museo Poldi Pezzoli”, “Una bocciofila per comunicare”, “BiblioBologna”) mettono in evidenza nuovi bisogni di socializzazione ed integrazione culturale delle persone. Anche se condizionati in questo periodo di emergenza, fanno emergere nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro che, nel rispetto della sicurezza sanitaria delle persone, richiederanno modalità innovative di progettazione e valorizzazione di sagre, fiere, feste e luoghi di aggregazione della comunità, affinché possano rappresentare non solo contesti ed eventi commerciali e culturali, ma anche concrete occasioni di incontro, socializzazione, solidarietà, inclusione sociale, attraverso l’organizzazione di attività ludiche, sportive, culturali integrate.
  • Le seguenti buone pratiche sociali (“Alla scoperta di Milano, da casa”, “Il bastone parlante per vivere Venezia”, “Il santuario autogestito”, “Riqualificazione Via de’ Falegnami”, “Camminaemangia”, “Riprese. Le memorie e i super8 dei veneziani”) mettono in evidenza nuovi bisogni di socializzazione ed integrazione culturale delle persone, ma anche nuovi ambiti imprenditoriali e di lavoro, che nel rispetto della sicurezza sanitaria delle persone, richiederanno percorsi innovativi di turismo sociale, culturale, esperienziale, responsabile, personalizzati, ecosostenibili, che tengano conto delle attuali regole di sicurezza sanitaria, tesi ad una conoscenza diretta ed approfondita dell’ambiente naturale, del patrimonio artistico, culturale e sociale della zona visitata, anche on line, che siano in grado di attivare  nuove reti relazionali fra gli attori coinvolti, anche attraverso il  coinvolgimento di ‘testimoni significativi’ della comunità. Valorizzazione del turismo a Km. 0, teso a ridurre il più possibile l’impatto ambientale  dei trasporti. A tale proposito, anche per risollevare l’economia del paese, legata alla grave crisi del coronavirus, sarebbe utile ed auspicabile incentivare gli italiani, già dalla prossima estate, a fare le proprie vacanze in Italia. Per operare in questa prospettiva sarebbe necessario avviare una forte revisione delle politiche turistiche, attualmente affidate alle regioni spesso in concorrenza fra loro, per istituire un coordinamento forte, o un vero e proprio ministero a livello nazionale, che possa comunicare non solo all’estero, ma anche fra gli italiani, l’identità di un nuovo ‘turismo responsabile’ in grado generare valore non solo a livello economico, ma anche sociale, culturale ed etico.
 

Nuovo patto per il lavoro, la ricostruzione e l’innovazione sociale

Per poter sviluppare concretamente questi nuovi scenari ed ambiti imprenditoriali diventa indispensabile che a livello regionale vengano elaborate le linee operative per sviluppare un Nuovo patto per il lavoro, la ricostruzione e l’innovazione sociale, attraverso la partecipazione ed il contributo dei principali attori sociali dei tre sottosistemi sopra citati (economico, politico amministrativo, socio-culturale), con particolare riferimento a: enti locali, università, associazioni economiche di categoria, organizzazioni sindacali, cooperazione sociale, Ausl, servizi di welfare, rappresentanti delle associazioni di promozione sociale, delle organizzazioni che rappresentano i cittadini e gli utenti. Tale Patto si propone di coordinare la fase di riapertura delle attività produttive, prima ancora della fine del lockdown,  di delineare le linee programmatiche, gli ambiti operativi prioritari, le metodologie e gli indicatori di valutazione degli interventi per la ricostruzione, la promozione del lavoro e dell’innovazione sociale a livello regionale. La cabina di regia del Patto dovrà anche promuovere e coordinare  l’azione di Tavoli  territoriali di progettazione e innovazione sociale che saranno chiamati a definire i criteri operativi, per filiera e classe dimensionale di impresa, tesi a garantire livelli adeguati di  tutela della salute dei lavoratori e contrasto alla diffusione del virus, ma anche a sviluppare specifici programmi per l’attivazione ed il sostegno di nuove ambiti imprenditoriali e lavorativi, attraverso la partecipazione dei rappresentanti di enti locali, università, associazioni economiche di categoria, organizzazioni sindacali, ispettorato del lavoro, Ausl, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, del volontariato e della cittadinanza attiva. A questo proposito si individuano, qui di seguito i principali ambiti  da sviluppare.
Sistemi operativi territoriali tesi a definire, a livello locale, i criteri di riapertura in sicurezza delle imprese,  garantendo anche adeguati livelli di tutela della salute dei lavoratori e di contrasto alla diffusione del virus.
Programmi integrati per aree tematiche (quali ad es.: welfare, scuola, tutela dell’ambiente, energie rinnovabili, protezione civile, turismo, cultura, alimentazione).
Programmi intersettoriali mirati a determinate popolazioni target (quali ad es.: maternità, bambini, giovani, anziani), o a particolari aree problematiche del territorio (quali ad es.: prevenzione disastri ambientali, riduzione degrado urbano, miglioramento della sicurezza nelle residenze e/o sulla strada, valorizzazione delle periferie e/o delle zone montane). Al fine di individuare specifici progetti obiettivo, per ciascuna area, sarà necessario procedere alla rilevazione dei bisogni sociali emergenti, dei contesti di vita e degli attori sociali da coinvolgere nella prospettiva di incentivare e generare nuovi ambiti produttivi e di lavoro.
I Tavoli territoriali dedicheranno particolare attenzione  alla promozione di Alleanze intergenerazionali per la redistribuzione e la qualità del lavoro. A questo proposito si individuano alcune azioni emblematiche da sviluppare:
– individuazione delle imprese disponibili a promuovere alleanze intergenerazionali per la qualità, la sicurezza e la  redistribuzione del lavoro;
– rilevazione, all’interno di tali aziende, dei dipendenti disponibili a modificare il proprio contratto di lavoro per recuperare  opportunità lavorative  per i giovani (ad es.: incentivi per part time finalizzati a nuove assunzioni di giovani, contratti per i lavoratori a fine carriera che possono prevedere la riduzione dell’orario, ma anche il loro coinvolgimento in attività di formazione rivolte ai giovani neo-assunti);
-attivazione di fondi aziendali, interaziendali e territoriali destinati al miglioramento della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori, allo sviluppo di nuove opportunità di formazione e lavoro per i giovani. Tali fondi potrebbero essere alimentati attraverso sistemi misti di contribuzione (da parte di aziende, lavoratori, enti locali, associazioni, cittadini), con incentivi pubblici (attraverso la deduzione di imposte), con una gestione e rendicontazione trasparente.

Segui #lepilloledicittadinanzattiva

#lepilloledicittadinanzattiva