di Francesca Capoccia
Come scrive Roberta Sassatelli nell’Enciclopedia dello Sport Treccani, “lo sport è un fenomeno che coinvolge, per lo meno in tutto il mondo occidentale, uomini e donne. La storia dello sport tuttavia è stata a lungo caratterizzata da una netta predominanza maschile e il campo delle attività sportive è, a tutt’oggi, segnato da profonde differenze di genere: gli uomini partecipano più delle donne alla pratica sportiva e, al contempo, gli sport maschili sono più rilevanti sia economicamente sia culturalmente”.
Per rivendicare un’assoluta parità di diritti tra i sessi nell’ambito sportivo e mettendo in evidenza invece le tante barriere che lo impedivano, nel 1985 nasce la Carta per i diritti delle donne nello sport, proposta dall’Uisp e trasformata dall’UE nella Risoluzione per le donne nello sport nel 1987.
La Carta è il primo passo per riconoscere ufficialmente la rivendicazione di pari opportunità tra donne e uomini nello sport all’interno del territorio dell’Unione Europea. Il documento evidenzia il grande numero di diseguaglianze fra donne e uomini nel campo dello sport e l’importanza di rimuovere le ancora enormi barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne.
Nonostante il progresso e l’incremento della pratica sportiva delle donne, in alcuni sport permangono delle differenze in termini di pari opportunità.
La Carta nasce dalla concezione che lo sport sia una sfera dell’attività umana che interessa in modo particolare i cittadini dell’Unione europea e ha un potenziale enorme di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente dall’età o dall’origine sociale, e dall’opinione che la qualità di una società dipende dai pari diritti per tutte le persone, incluse le pari opportunità nello sport, sia quello professionistico sia lo sport per tutti.
Nonostante la “Risoluzione sulle donne nello sport” abbia ufficialmente riconosciuto la richiesta di pari opportunità per le donne e uomini nel contesto dell’Unione Europea, esistono ancora discrepanze in termini di pari opportunità, a partire dallo status economico e dal gap salariale, ma non solo. In Italia è ancora enorme la sproporzione tra il numero delle atlete e quello degli atleti maschi, sebbene negli ultimi anni la rappresentanza delle prime stia gradualmente aumentando. Nel 2017, la quota delle atlete ha raggiunto il suo massimo storico con il 28,2% contro il 71,8% degli atleti maschi, su 4,7 milioni di tesserati complessivi. Quindi, nonostante nel sistema sportivo diverse iniziative mirino a sostenere la partecipazione delle donne, lo sport italiano è ancora di forte impronta maschile.
Inoltre, le donne sono ancora sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive.
Si tratta di un problema culturale ed educativo che rende difficile alle donne persino avvicinarsi allo sport, soprattutto a certe discipline, considerate da ‘maschio’, come il calcio. Basti pensare che nell’atletica si è dovuto aspettare il 1984 perché le donne fossero ammesse a correre la maratona alle Olimpiadi, il 2000 per il salto con l’asta, il 2008 per i 3000 siepi e soltanto nel 2012 i Giochi Olimpici di Londra hanno caratterizzato, per la prima volta nella storia, un numero uguale di sport per le donne come per gli uomini. A seguito di questa espansione degli sport femminili, molti paesi come gli Stati Uniti hanno sperimentato una grande crescita nel numero di donne olimpioniche, così grande che le donne olimpioniche statunitensi sono state più numerose degli olimpionici statunitensi maschi e hanno continuato a guadagnare più medaglie.
Un altro grande limite è rappresentato dal fatto che le donne, anche di altissimo livello, non possono essere professioniste ma, per legge, restano dilettanti. L’unica alternativa è entrare in un corpo sportivo militare o contare su uno sponsor molto forte.
Le atlete sono costrette a fare i conti non solo con discriminazioni di tipo salariale, ma sempre più spesso sono oggetto di pesanti insulti sessisti rivolti loro in campo e di hate speech online, discorso di incitamento all’odio.
A tal proposito, una novità assoluta in tutta Europa è la nascita di un Osservatorio, dalla volontà di Unar, Uisp e Lunaria, per monitorare episodi di discriminazione e intolleranza sul territorio per chi è vittima d’insulti per le origini, il colore della pelle, il genere, il credo religioso, le condizioni fisiche. In particolare, il target dell’Osservatorio non è lo sport professionistico, ma quello amatoriale e dilettantistico, dove si verifica la maggior parte di questi episodi e dove si formano anche i giovani sportivi di domani. L’attività mira anche alla sensibilizzazione e alla formazione dei giovani per promuovere la cultura del rispetto dell’altro e dell’accoglienza.
In tutto ciò, incide anche la rappresentazione spesso sessista e stereotipata che i media danno delle donne impegnate nello sport.
Scheadler e Wagstaff nel 2018 hanno effettuato uno studio volto a esaminare come l’aumento dell’esposizione mediatica allo sport femminile influenzi un atteggiamento positivo verso lo sport femminile e una riduzione delle discriminazioni di genere. Le atlete hanno ancora una copertura mediatica significativamente inferiore e diversa rispetto alle loro controparti maschili. I media, ad esempio, presentano lo sport come se esistessero sport maschili (ad esempio, il calcio) e femminili (es. ginnastica e pattinaggio artistico), il che rende più difficile rompere le tradizionali barriere di genere e permettere alle donne di partecipare agli sport considerati maschili e agli uomini agli sport considerati femminili.
Inoltre, i media tendono a ignorare i risultati atletici delle donne concentrandosi sul loro aspetto fisico, sulle vite private, sulla femminilità e sulla sessualità, anche se raggiungono imprese sportive impressionanti. L’enfasi sul loro corpo e sulla sessualità potrebbe mettere le donne e le ragazze a rischio di ansia e paura, ma anche anoressia, bulimia, insoddisfazione del corpo e un impulso alla magrezza. Inoltre, tale ansia è correlata all’abbandono degli sport, al minore divertimento nello sport e alla sofferenza delle prestazioni. Pertanto, l’attenzione diseguale data alle atlete può portare a molte conseguenze negative per le donne oltre a proteggere i privilegi maschili nello sport.
In conclusione, lo studio sostiene che questa falsa rappresentazione dello sport femminile sia responsabile della mancanza di interesse per lo sport femminile da parte degli appassionati e rafforza gli atteggiamenti negativi generali del pubblico nei confronti delle donne.
È importante ampliare il numero delle donne e delle ragazze che partecipano allo sport e all’esercizio fisico perché gli sport hanno molti vantaggi, per uomini e donne indipendentemente dal sesso, quali: una minore pigrizia sociale, un miglioramento della salute respiratoria e cardiovascolare, un aumento della forza muscolare e ossea e riduzione delle fratture dell’anca, delle vertebre e delle diagnosi di cancro, una riduzione del rischio di diabete di tipo II, una diminuzione del rischio di depressione, un apprendimento migliore e nei bambini che partecipano a sport di squadra, una maggiore autostima.
È doveroso segnalare che lo scorso 22 Gennaio la città di Bologna è stata il primo comune a adottare la Carta dei Valori per lo Sport Femminile, promossa da Assist-Associazione Nazionale Atlete, con l’obiettivo di promuovere pari accessibilità a tutti gli sport sin dall’infanzia senza stereotipi di genere, promuovere lo sport femminile, e contrastare qualsiasi forma di discriminazione, di disagio e di violenza nelle attività sportive.
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