di Walther Orsi

Chi entra in relazione con persone non autosufficienti sente la necessità di dare senso e motivazione al proprio pensare, comunicare ed agire. In particolare chi, come operatore, volontario, caregiver, famigliare,  è impegnato nella cura di tali persone, sente quotidianamente la difficoltà di coniugare la propria esperienza con i valori ed i modelli culturali prevalenti nell’ambito del sistema socio-sanitario e del welfare. A volte tale esperienza sembra non avere senso perché la cura non produce risultati misurabili in termini di miglioramento della patologia e pertanto non trova riconoscimenti significativi da parte dei servizi sempre più orientati da logiche di efficacia ed efficienza.

Questa difficoltà a dare senso al lavoro di cura diventa ancora più evidente quando è lo stesso portatore di bisogni, come nel caso della persona affetta da demenza, che sembra appartenere ad un mondo lontano, non razionale, con cui è difficile comunicare.

Questa percezione di “non senso”, che a volte prende gli attori della cura, non va sottovalutata; è da essa che è necessario partire. Perché credo che le difficoltà a livello cognitivo, emotivo, affettivo e motivazionale e lo stress di chi cura, possano invece rappresentare uno stimolo per la crescita personale e per l’innovazione del sistema di welfare a cui si fa riferimento. In questa prospettiva diventa necessario farsi alcune domande.

Che senso assume la salute di una persona affetta da demenza? La cura di tale persona richiede prevenzione, diagnosi, terapia, assistenza e poi cosa altro? Nel lavoro di cura chi non è un professionista (ad esempio: famigliari, care giver,  volontari, associazioni, gruppi di auto-mutuo aiuto) svolge solo funzioni di supplenza, o ha un ruolo specifico? Che senso assume il lavoro di cura per i cosiddetti ‘laici’?

In questa sede non è certo possibile dare risposte esaustive a tali domande, ma almeno vorrei evidenziare gli orientamenti di un percorso di ricerca e di approfondimento da sviluppare in collaborazione con chi è impegnato nel lavoro di cura.

Occorre innanzitutto sottolineare che, nella demenza, la salute non può essere rappresentata in termini tradizionali. Valutare le condizioni di salute di una persona affetta da demenza significa tenere conto non solo di indicatori biologici e psico-fisici, ma anche dei livelli di qualità della vita e delle relazioni che essa sviluppa nel contesto famigliare e sociale. Il lavoro di cura diventa un “lavoro di squadra” in cui, accanto  ai servizi e ai professionisti, assumono un ruolo prioritario tutte le persone significative che ruotano attorno alla persona malata. Sono sopratutto loro (i cosiddetti ‘laici’) che possono sviluppare un ambiente accogliente e favorevole per la cura.

 

Rete degli interventi  per le demenze
In questo anni si è assistito ad un forte sviluppo della rete degli interventi per le demenze. Mi sembra però che molto spesso vi
sia stato un limitato riconoscimento e una scarsa valorizzazione del ruolo di chi ha operato nella logica del miglioramento della qualità
delle relazioni, dell’ambiente,delle motivazioni di vita e del clima a cui fa riferimento la persona malata.
E’ per questo che ritengo fondamentale dare visibilità sia alle buone pratiche sociali, sia alle attività di animazione tese principalmente a stimolare le capacità di socializzazione, le modalità espressive ed il miglioramento della qualità della vita delle persone affette da demenza e delle loro famiglie. Intendo quindi valorizzare l’identità delle buone pratiche sociali e degli interventi di animazione, evidenziando anche le possibili sinergie che si possono sviluppare fra loro.

Le buone pratiche sociali sono rappresentate da azioni, comportamenti, progetti orientati al miglioramento della qualità della vita che vedono protagonisti i cittadini, le famiglie, i gruppi informali, molto spesso in collaborazione con reti comunitarie, associazioni, volontariato.

Risulta più complesso tentare una definizione sintetica dell’animazione rivolta alle persone affette da demenza. Mi limito a fare alcune sottolineature prendendo spunto da alcuni testi in materia. L’animazione può essere intesa come “crescita, cambiamento sociale”, come “coinvolgimento dei soggetti”, ma anche come “sviluppo dell’autonomia e del protagonismo dei partecipanti”, come “apprendimento, cambiamento per migliorare la vita”, come “stimolo delle capacità di socializzazione per ostacolare l’isolamento”, come “intervento volto a cogliere le chiavi di accesso, le voci, le modalità espressive e comunicative”.

 

Le connessioni

In tale prospettiva sono molto evidenti le connessioni che si possono cogliere fra buone pratiche sociali ed attività di animazione, nel momento in cui si propongono entrambe di coinvolgere gli attori, renderli protagonisti, in una dimensione di gruppo e con il principale obiettivo rappresentato dal miglioramento della qualità della vita. Lo sviluppo di buone pratiche sociali in un territorio tende a favorire e a incentivare le attività di animazione attraverso la promozione di un ambiente ed un clima favorevole, la responsabilizzazione dei cittadini, la valorizzazione delle reti di auto-mutuo aiuto e del capitale sociale della comunità, la crescita di una capacità diffusa di invenzione sociale.

E’ possibile però anche cogliere come l’animazione possa rappresentare uno strumento formidabile per incentivare e valorizzare le buone pratiche sociali. Se l’animazione ha il gruppo e la rete come ambiti privilegiati di intervento, essa rappresenta un importante strumento per rendere protagonisti tutti gli attori (non solo i professionisti, ma anche i ‘laici’), per migliorare la comunicazione, per sviluppare la loro partecipazione all’azione comune e quindi alla buona pratica sociale. In questo senso il ruolo dell’animazione può essere molto efficace perché utilizza abitualmente, in modo integrato, vari strumenti culturali ed artistici (lettura, pittura, teatro, musica, ecc..) e diverse modalità comunicative  (verbali, non verbali, espressioni emotive e creative) che sono in grado di coinvolgere i diversi attori. Nel gruppo e nella rete, l’animazione tende a favorire l’espressione delle potenzialità di tutti i componenti, lo scambio di esperienze, di risorse (non solo materiali, ma anche affettive, emotive, relazionali, creative) , lo sviluppo di processi di apprendimento, cambiamento, quindi la condivisione di buone pratiche sociali e di percorsi progettuali innovativi.

 

Sinergie possibili

Questa news letter si propone di sviluppare un percorso di riflessione sulle possibili sinergie che si possono sviluppare fra buone pratiche sociali ed attività di animazione rivolte alle persone affette da demenza.  In questo senso le  buone pratiche sociali potranno avventurarsi a sviluppare positive esperienze anche nel campo complesso delle demenze, se saranno supportate dagli orientamenti, dalla consulenza periodica dei professionisti; ma al tempo stesso le attività di animazione potranno esprimere tutta la loro potenzialità se avranno il coraggio di coinvolgere anche i non professionisti (famigliari, caregiver, volontari, reti di auto mutuo aiuto, associazioni dei famigliari dei malati, organizzazioni non profit), uscendo dal contesto limitato dei servizi, per promuovere buone pratiche sociali che possano avere anche una rilevanza educativa, culturale, formativa, economica e sociale a livello di territorio.

In questa prospettiva  è necessario mantenere aperta sempre una comunicazione/collaborazione fra “professionisti” e “attori laici” che è fonte di arricchimento reciproco. E’ proprio in questa logica di reciprocità che occorre riconoscere l’importanza della funzione di ‘empowerment‘ che consente di dare riconoscimento, autorevolezza, competenza a tutti gli attori della rete dei servizi, degli attori sociali del territorio e dei cittadini. Diventa così possibile sviluppare una “responsabilizzazione diffusa”, che permette quindi di dare piena attuazione  al principio della “sussidiarietà”, ma al tempo stesso di sviluppare un processo di innovazione sociale nel sistema di welfare.

Le esperienze e le sperimentazioni sviluppate soprattutto in Emilia Romagna, ma anche in altre realtà significative, dimostrano come concretamente si può promuovere una responsabilizzazione diffusa a favore delle persone affette da demenza, dei loro caregiver e famigliari.  Tanti sono i modi per sviluppare buone pratiche sociali di animazione; ad esempio: con la musica, la ginnastica, la lettura di libri, le attività ludiche e di socializzazione, le attività di interazione con gli animali. Molteplici sono i contesti ed i servizi a cui si può fare riferimento: dal domicilio ai centri sociali, dai centri diurni, alle strutture residenziali, dall’associazionismo alle polisportive e ai musei.


Segui #lepilloledicittadinanzattiva

#lepilloledicittadinanzattiva