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La pandemia è finita? Verso una nuova normalità

Il COVID rimane ed è destinato a restare con “noi” per molto tempo. Dal momento in cui sono decaduti i protocolli internazionali che si attivano in caso di emergenza internazionale di salute pubblica, il COVID viene trattato come gli altri virus influenzali ed endemici.

L’evoluzione del virus

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il COVID-19 non è più un’emergenza sanitaria globale. Il virus non è scomparso ma è diventato endemico come altre forme influenzali. Questo significa che dovremo imparare a convivere con il virus e a gestire le fasi di picco che dovessero ripresentarsi prestando massima attenzione alle categorie “fragili”.
La stessa OMS ha invitato tutti i paesi a non “abbassare la guardia”, a continuare a monitorare l’evoluzione del COVID-19, a non smantellare i servizi sanitari costruiti in questi tre anni e a non far passare il messaggio che il pericolo COVID-19 sia ormai alle spalle.
Da un punto di vista formale, usciti dalla fase di emergenza sanitaria globale, non sarà più obbligatorio per i Paesi riferire all’Oms il numero di casi e il tasso di positività, anche se è possibile che molte nazioni decidano di farlo comunque. I singoli Stati avranno l’autorità di decidere se trattare il COVID-19 come emergenza sanitaria nel proprio territorio.
Da un punto di vista sociale in Italia sembra che la pandemia sia finita già da molto tempo. La situazione delle varianti è sotto controllo, l’incidenza dei casi è molto bassa e abbiamo una immunizzazione molto alta. In tanti si sono sottoposti ai vaccini anti-Covid e hanno avuto l’infezione da Sars-CoV-2.
Le misure restrittive per la contenzione del contagio sono state revocate, ad eccezione di casi particolari. Insomma, si è avviata una fase di “convivenza” con il virus che si associa ad una maggiore capacità di gestione della malattia.
In questa fase diventa fondamentale “tenere alta l’attenzione” e puntare molto, oltre che sulla prevenzione della malattia con piani di vaccinazione rivolti a tutta la popolazione, a programmi e protocolli specifici per coloro che rientrano nei “target” più a rischio in caso di infezione da COVID- 19. La differenza la faranno i comportamenti di tutte le persone e dei soggetti fragili.
Rimane fondamentale continuare ad adottare le misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate, l’uso della mascherina, l’aereazione dei locali, l’igiene delle mani e porre attenzione alle situazioni di assembramento. 

L’impatto del COVID nei pazienti fragili

La fragilità è definita come una “condizione clinica con molteplici cause e fattori, caratterizzata da una ridotta forza e resistenza, una ridotta funzione fisiologica e una “aumentata vulnerabilità”.
I risultati delle prime osservazioni epidemiologiche sui pazienti con COVID-19 hanno sin da subito sottolineato come esistesse una stretta associazione tra età avanzata e aumentata mortalità e come i fattori di rischio incidessero in maniera negativa sull’esito della malattia.
Nel contesto della pandemia da COVID-19, la fragilità agisce in modo sinergico con fattori come età e comorbilità e determina la complessità di cura di un paziente, in quando influenza negativamente la capacità di tolleranza a trattamenti altamente invasivi come la ventilazione meccanica, la circolazione extracorporea o farmaci con importanti rischi di eventi avversi e interazioni.
I dati di diversi studi confermano che cardiopatie, diabete e insufficienza renale cronica sono significativamente più frequenti e numericamente più consistenti fra i pazienti COVID-19 deceduti, rispetto alla popolazione generale.
Il soggetto fragile presenta un maggiore tasso di esiti avversi in caso di patologie: accertare la fragilità in modo precoce è importante per identificare i pazienti più vulnerabili. In altre parole, alcune persone hanno un rischio maggiore di altre di ammalarsi gravemente di COVID-19, questo vuol dire che hanno più probabilità di:
      • andare in ospedale
      • essere ricoverati in terapia intensiva
      • avere bisogno del ventilatore per respirare
      • morire
Diventa dunque fondamentale definire coloro che sono pazienti fragili o comunque più esposti a contrarre forme più “severe” di COVID-19 per far sì che si possa agire in tempo affinché i trattamenti disponibili siano efficaci.
Oggi possiamo disporre di vaccini e di cure specifiche ma è fondamentale che vi sia massima informazione ai pazienti e ai loro familiari e caregiver e si crei sinergia tra il medico di medicina generale, il paziente e gli altri specialisti che lo hanno in cura.

 

Quando la vaccinazione non è sufficiente: profilassi per i pazienti fragili
Ci sono persone che non rispondono efficacemente alla vaccinazione contro il COVID-19. E’ questo il caso dei pazienti fragili come gli individui immunocompromessi o i pazienti oncologici in trattamento chemioterapico. Per loro la soluzione è rappresentata dall’utilizzo degli anticorpi monoclonali sotto forma di profilassi. Nella lotta al COVID-19 gli anticorpi giocano un ruolo cruciale. Sin dai primi mesi della pandemia l’isolamento dei più efficaci anticorpi dal plasma dei pazienti e la successiva produzione su larga scala è parsa essere una delle principali soluzioni per neutralizzare i coronavirus.
Fino a pochi mesi fa avevamo sentito parlare soltanto degli anticorpi monoclonali da utilizzare per il trattamento dei pazienti con COVID-19. Ora, invece, si parla del loro utilizzo in profilassi. L’uso degli anticorpi monoclonali in profilassi, a differenza di quello in trattamento, è svincolato dall’incidenza della patologia ed è più facilmente programmabile da parte dei centri che hanno in carico i pazienti che rientrano nelle categorie eleggibili identificate nel registro dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
La somministrazione degli attuali medicinali antivirali è strettamente indicata per pazienti fragili e ad alto rischio di contrarre forme gravi della malattia (neoplasie, insufficienza renale, immunodeficienze, obesità o malattie cardiovascolari, etc.). Tali soggetti devono espressamente essere indicati dal medico il quale, avvertito tempestivamente della comparsa dei sintomi riconducibili al COVID-19, provvede a gestire il paziente in maniera adeguata.
Se sei un paziente fragile, un suo famigliare o un caregiver, ricordati di prestare massima attenzione ai possibili sintomi di infezione da COVID-19, fai il tampone e in caso di esito positivo avverti subito il tuo medico di base e lo specialista. Aggiorna costantemente il medico sul tuo stato di salute e sull’insorgenza di qualsiasi sintomo. La terapia antivirale nei casi in cui è indicata è tanto più efficace se somministrata tempestivamente entro i primi cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi.

 

estratto dalla guida BE A.W.A.R.E: Covid, long Covid e fragilità. Teniamo alta l’attenzione


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