Una delle soluzioni più efficaci per aumentare cibo nutriente per gli oltre 8 miliardi di persone del pianeta è stata quella di incrementare la quantità di pesce tramite l’acquacoltura.
Che cos’è l’acquacoltura?
Consiste nell’allevamento di pesci, crostacei e molluschi in ambienti di acqua dolce o salata confinati e controllati dall’uomo. A differenza dalla pesca che attinge solo dagli animali acquatici esistenti in natura, l’allevamento in acqua crea le condizioni per una produzione continuativa e controllata delle specie che interessano.
Il pesce allevato in acquacoltura ha conosciuto una crescita esponenziale:
Nel 2022 ha superato la pesca di cattura come principale settore di produzione di animali acquatici. La produzione mondiale in acquacoltura ha raggiunto il volume storico di 130,9 milioni di tonnellate, di cui 94,4 milioni di tonnellate di animali acquatici, pari al 51 percento della produzione complessiva di tali beni.
L’acquacoltura è sostenibile dal punto di vista ambientale per il Pianeta?
La risposta è negativa, la gran parte degli allevamenti di pesci in acqua non può ritenersi sostenibile in quanto sta rilevando le criticità degli allevamenti intensivi a terra:
l’attività si concentra in zone acquatiche chiuse con un numero molto elevato di pesci, soprattutto quelli più richiesti dal mercato: salmoni, orate, spigole.
Il materiale organico prodotto può permanere a lungo nella zona, i pesci si ammalano più facilmente per infestazione di parassiti, le malattie vengono curate con antibiotici e formaldeide che inquinano le acque del mare o dei laghi e distruggono la biodiversità locale.
Greenpeace dichiara che “L’acquacoltura viene presentata come la soluzione ideale alla carenza di risorse ittiche, ma la realtà è molto diversa. Non esiste alcun meccanismo che possa garantire che i prodotti ittici allevati provengano da attività di acquacoltura sostenibili. Al contrario, molte pratiche moderne di acquacoltura si basano su una produzione altamente intensiva e non sostenibile di poche specie”.
I risultati di uno studio dell’Istituto greco Archipelagos Institute of Marine Conservation, effettuato attraverso rilievi e campionamenti delle acque e dei fondali del mar Egeo per documentare l’impatto degli allevamenti in acquacoltura di pesce, ha rilevato: praterie di posidonia ingiallite, popolazioni di pesci selvatici crollate numericamente, aree di mare morte, una lenta agonia che negli ultimi decenni ha interessato il tratto di mare tra la regione Etolia-Acarnania e le Isole Ionie, in Grecia Occidentale. Questo declino è iniziato da quando sul finire degli anni ‘80 hanno proliferato gli allevamenti in acquacoltura di spigole e orate, facendo di questo paradiso terrestre nel cuore del Mediterraneo, uno dei principali hub per l’allevamento di pesce in Europa.
Anche il cibo di cui si alimentano i pesci allevati in acquacoltura rappresenta un problema di sostenibilità ambientale e sociale
L’alimentazione dei pesci allevati in acquacoltura è costituita per il 70% da piccoli pesci o farine ricavate da questi.
E’ utile ricordare che i piccoli pesci sono alla base della catena alimentare degli altri animali acquatici, da essi dipende la sopravvivenza dell’ambiente marino che viene impoverito se il prelievo è eccessivo.
Oltre all’impoverimento dei mari il prelievo dei piccoli pesci genera rilevanti problemi sociali:
In Senegal il 17% della popolazione attiva vive dei prodotti del mare, è il settore trainante dell’economia nazionale. I mari del Senegal e degli altri paesi dell’Africa occidentale stanno vivendo una crisi senza precedenti per la presenza di numerosi pescherecci industriali, con reti in grado di pescare 300 tonnellate di pesce al giorno, tra i quali grandi quantità di pesci di taglia piccola come acciughe e sardine.
500 mila tonnellate di quei piccoli pesci, su cui fanno affidamento le popolazioni locali per lavorare e nutrirsi, vengono esportati in Europa e in Asia per produrre mangimi per gli allevamenti intensivi a terra e in acqua. La stessa quantità sarebbe sufficiente a sfamare 33 milioni di persone, in un’area in cui il pesce rappresenta la principale fonte di proteine animali per la gran parte della popolazione.
Il Rapporto SDGs 2020- Informazioni Statistiche per l’Agenda 2030 in Italia – Goal SDG14.4.1 in relazione all’acquacoltura e alla pesca intensiva, scrive:
“Il nostro obiettivo è la conservazione degli oceani, dei mari e delle risorse marine, elementi fondamentali per la salute e la salvaguardia del pianeta. Per raggiungere l’obiettivo è necessario applicare rigorosamente politiche di gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo, adottando nel contempo misure di protezione per la conservazione della biodiversità marina e delle coste”.
Dalle osservazioni riportate si evince che l’acquacoltura ha contribuito a incrementare notevolmente la quantità di cibo proteico disponibile per la popolazione del mondo, ma non può essere considerata ecologicamente sostenibile se non verranno adottate politiche per un equilibrato sfruttamento degli stock ittici.
Greenpeace aggiunge: per dare al mare la possibilità di riprendersi e prosperare abbiamo bisogno:
– di proteggerne almeno il 30% entro il 2030, stabilendo una rete globale di riserve marine protette. Si tratta di misure urgenti e non più rimandabili, perfettamente in linea con gli impegni già presi dall’Italia e dall’Unione Europea.
– passare da metodi di pesca distruttivi alla valorizzazione della pesca responsabile, a basso impatto ambientale
– dare priorità di accesso alla pesca e alle filiere commerciali a coloro che pescano nel modo più sostenibile.
Testi tratti da:
.Greenpeace
Pescatori e pesci al collasso: ecco la crisi globale della pesca – Greenpeace Italia
.Archipelagos.gr
Istituto per la Conservazione Marina degli Arcipelaghi (archipelago.gr)
. Istat
goal14.pdf (istat.it)
. Altraeconomia
La falsa soluzione dell’acquacoltura che sottrae risorse ai Paesi africani – Altreconomia