L’articolo riprende in parte i contenuti del volume di Diego De Leo e Marco Trabucchi “Maledetta solitudine. Cause ed effetti di un’esperienza difficile da tollerare” (Edizioni San Paolo, Milano, 2019). “Maledetta solitudine”,  offre un quadro delle dimensioni assunte dal fenomeno solitudine passando in rassegna le indagini nazionali e internazionali sul tema.

I dati statistici e la ricerca scientifica riguardanti la dimensione numerica del “vivere da soli” evidenziano che la manifestazione e la progressione di tale fenomeno risultano associate, in numerose aree del mondo, a tre ordini di fattori: il cambiamento della tipologia di nucleo familiare, con una tendenza a un aumento vertiginoso delle famiglie unipersonali; la riduzione significativa delle nascite; l’aumento dell’età media della vita che, secondo le proiezioni più aggiornate, determinerà un invecchiamento radicale della popolazione mondiale.

Individualismi e solitudini in Italia

Il rapporto annuale dell’Istat nel 2018 rileva come in Italia il 13% della popolazione generale viva da solo.

Questa ‘solitudine’ varia di molto a seconda dell’età dei soggetti: al di sotto dei 25 anni vive da solo l’1% degli italiani; tra i 25 e i 34 anni vive da solo l’11,9% dei soggetti; dai 35 ai 54 anni la percentuale si mantiene stabile intorno al 12%; tra i 55 e i 74 anni è il 16% della popolazione a vivere da solo, mentre nelle età successive la percentuale risulta più che raddoppiata (38,3%).

Lo stesso rapporto evidenzia come tra le persone di 75 anni e più in Italia sia drammaticamente alta la percentuale di quelli che non hanno parenti né amici cui riferirsi in caso di bisogno: quasi il 40% di tutti i soggetti in tale fascia d’età, con l’11,7% che può rivolgersi solo a un vicino di casa.

Dati simili a questi erano già stati evidenziati dal rapporto Eurostat del 2017, dal quale si evinceva che in Italia la percentuale di soggetti non aventi la possibilità di chiedere aiuto in caso di bisogno risultava doppia rispetto alla media dei 28 paesi europei esaminati: 13,2% verso il 6% della media europea, con la Repubblica Ceca denunciante solo l’1,9% dei suoi soggetti impossibilitati a chiedere qualsiasi tipo di aiuto (morale, materiale, finanziario) da parenti, amici o vicini di casa.

Le ragioni di tanto isolamento da parte degli italiani rimangono aperte alle speculazioni; di certo il dato cozza con la percezione comune dell’Italia come paese molto aperti e comunicativi.

Del resto lo stesso rapporto Eurostat sottolinea anche la nostra difficoltà ad avere confidenti con cui discutere di questioni personali: praticamente al pari della Francia, i cittadini italiani presentano difficoltà in percentuale doppia rispetto alla media europea (12% della popolazione di 16 anni e più rispetto al 6,1% Numero 3-2020 europeo), con i ciprioti allo scalino più basso (2% della popolazione).

Insomma, parlare di cose intime ad altri è molto più difficile in Italia che altrove.

Ci si fida poco degli altri?

E’ possibile, viste le molte dominazioni straniere, un paese che ha solo centocinquant’anni di vita unita, e i molti governi che vi si sono succeduti, espressione di una frammentazione politica molto radicata nel territorio…

Tutto questo però si traduce in una modesta coesione sociale e quindi in un ridotto senso di appartenenza che probabilmente vanno a influenzare individualismi e solitudini in maggior copia che negli altri paesi europei.

E nei Paesi vicini al nostro?

La Francia ha ragioni storiche diverse dall’Italia; nonostante un sentimento di identità nazionale ben più radicato nel tempo, ha vissuto conseguenze del colonialismo e dell’immigrazione che non hanno pari in Europa.

Nel 2010 e nuovamente nel 2014 un sondaggio di Crédoc per la Fondation de France ha evidenziato che cinque milioni di francesi – l’equivalente di una persona su otto – ha dichiarato di soffrire di solitudine.

Nel settembre del 2017, lo stesso ente di ricerca ha riportato come 700.000 giovani francesi, corrispondenti al 6% della popolazione in età compresa fra i 15 e i 30 anni, vivano in una situazione di “isolamento sociale”.

Tale condizione implica l’assenza di qualsiasi tipo di interazioni quotidiane con la propria famiglia, gli amici, i vicini di casa, i colleghi o persino i compagni di scuola.

Ma il drammatico rapporto del Crédoc non si ferma qui: 1,4 milioni di ragazzi compresi tra i 15-30 anni dichiarano di trascorrere regolarmente il loro tempo con membri appartenenti a una singola rete sociale, divenendo un segmento di popolazione a alto rischio di solitudine.

Oltre alle giovani generazioni, un altro dato preoccupante e in costante aumento riguarda il 26% di individui ultrasettantacinquenni, che riferiscono di vivere isolati e riportano significativi sentimenti di solitudine.

Il Regno Unito ha scoperto di avere nove milioni di cittadini che si sentono soli sempre o per la maggior parte del tempo.

Più di un ultrasettantacinquenne su tre ha dichiarato come ‘fuori controllo’ i propri sentimenti di solitudine; la metà dei disabili di ogni età soffre di solitudine ogni giorno. Nella popolazione con 65 anni e più, 3,6 milioni di individui considerano la televisione come principale compagna delle loro giornate.

Le persone che assistono soggetti con demenza e altre malattie invalidanti finiscono molto spesso per limitare grandemente la propria qualità di vita, specialmente le proprie opportunità lavorative e relazionali, sentendosi sole per la maggior parte del tempo.

Si stima che otto caregiver su dieci soffrano di questa condizione.

L’inglese Co-op ha stimato che la solitudine potrebbe costare ai datori di lavoro almeno due miliardi e mezzo di sterline l’anno, mentre le comunità disconnesse o isolate circa 32 miliardi di sterline l’anno.

Per dare una risposta al problema della solitudine, il governo di Theresa May aveva istituito uno specifico ministero, conferendo l’incarico a Tracey Crouch, già titolare del portafoglio del turismo e degli affari sociali.

Venti milioni di dotazione sono stati destinati a charities (organizzazioni non-governative) per combattere il fenomeno con una strategia che ha per missione quella di “eliminare la solitudine nel corso della vita”.

Il governo ha poi recentemente rimpiazzato la dimissionaria Crouch con Mims Davies, con l’impegno di rivalersi sui giganti della tecnologia (Facebook, Google, ma anche Amazon) a causa del loro ruolo nell’esacerbare solitudini.

In coda al Regno Unito, il primo Febbraio del 2018 il quotidiano nazionale El Paìs ha proposto la necessità di un ministero per la solitudine anche in Spagna.

Solo nei primi quattro mesi del 2010 a Madrid più di cento persone sono morte in solitudine, senza che nessuno se ne accorgesse.

I dati dell’INE, l’Istituto Nazionale di Statistica, hanno messo in luce che nel 2016 oltre quattro milioni e mezzo di spagnoli vivevano da soli, di cui il 41,7% rappresentato da persone con 65 anni o più.

Confrontando i valori medi del 2016 e del 2015, il numero di persone che vivono da sole è aumentato dell’1,2% e la tipologia di nucleo familiare unipersonale rappresenta già il 25,2% di tutte le famiglie.

In Germania, nel gennaio dello scorso anno, una survey lanciata dal maggior emittente pubblico radio-televisivo tedesco, l’ARD, ha riportato come circa due terzi della popolazione ritenga la solitudine un grave problema a livello nazionale.

I dati dell’ente statistico federale tedesco, integrati con le ricerche scientifiche condotte dalla Ruhr University Bochum e dalla University of Kassel, hanno reso noto che in Germania, una persona su sette tra i 45 e i 65 anni soffre di solitudine e il rapporto aumenta da uno a tre nelle persone con oltre 65 anni.

In fatto di solitudine nemmeno la Svizzera può ritenersi neutrale.

Nel 2017, il governo ha promosso una ricerca estesa a livello nazionale per far fronte alla necessità di evidenziare gli elementi connessi alla solitudine in termini di salute psicofisica e stili di vita.

L’indagine ha coinvolto non solo gli anziani e i giovani, considerati maggiormente a rischio, ma anche gli adulti di mezza età. I dati che arrivano dai paesi del Nord Europa confermano la preoccupazione crescente per il fenomeno, a livello politico e sanitario.

In Finlandia, l’ex Presidente della Repubblica, Tarja Halonen, ha definito la solitudine come un problema serio e reale che si estende a tutte le fasce d’età.

Il suo appello è stato trasmesso nel programma televisivo che apre la campagna annuale di raccolta fondi per la responsabilità collettiva.

In Norvegia e in Danimarca, due ricerche condotte a livello a nazionale hanno tentato di rispondere alla domanda “Chi sono?” e “dove sono le persone sole?” (2014, 2016).

L’obiettivo era quello di definire l’efficacia degli strumenti di rilevazione del fenomeno per identificare più rapidamente i segmenti di popolazione maggiormente a rischio.

In Olanda quattro ondate di dati, provenienti da differenti istituti di ricerca e da studi longitudinali condotti a livello nazionale, hanno reso noto che gli anziani risultano essere i soggetti maggiormente “colpiti” dalla solitudine, a cui spesso si associa una vulnerabilità significativa all’esordio di demenza.

I dati olandesi sull’invecchiamento e sull’effetto patogeno del vivere soli sono in linea con i risultati delle ricerche del centro di studi nazionale svedese.

Spostandoci sul versante dei paesi del Commonwealth Britannico, numerosi stati e regioni hanno fatto seguito all’iniziativa del Regno Unito attraverso mobilitazioni e attività di vario genere.

La Scozia ha prodotto un rapporto su isolamento sociale e solitudine; in particolare, il comitato per le pari opportunità del parlamento scozzese ha definito l’isolamento sociale e la solitudine come problematiche estremamente significative, incentivando ulteriori ricerche sulla prevalenza del fenomeno e sull’identificazione dei gruppi ad alto livello di rischio.

Al di là degli oceani

Il governo dello stato di Vittoria in Australia ha promosso un’indagine via Internet e un successivo rapporto sulla solitudine; in Canada e Nuova Zelanda si stanno studiando programmi per contrastare il fenomeno.

Nello specifico, i dati emersi dall’ultimo censimento del 2016 condotto dall’istituto statistico canadese forniscono il ritratto di un paese in cui diverse soluzioni abitative hanno sostituito i modelli familiari del passato.

La percentuale di famiglie composte da una sola persona è alle stelle: 14,1 milioni di individui dichiarano di vivere soli, un numero mai raggiunto prima nella storia dei 150 anni del Canada.

In Nuova Zelanda oltre 650 mila persone hanno espresso forti sentimenti di solitudine, soprattutto nella fascia tra i 15 e i 24 anni.

Il 23 novembre dello scorso anno, in un articolo sul New York Times, Arthur C. Brooks – presidente dell’American Enterprise Institute – scriveva letteralmente: “L’America sta soffrendo per un’epidemia di solitudine.

Sulla base di quanto riportato da un’indagine su larga scala da parte dell’agenzia sanitaria Cigna, la maggior parte degli americani soffre di penose sensazioni di solitudine e di mancanza di significato nelle relazioni.

Quasi la metà dei soggetti intervistati dichiara che si sente spesso o sempre sola o ‘lasciata fuori’. Il 13% degli americani sostiene che non esiste nessuno che li conosca bene.

L’indagine, che valuta la solitudine utilizzando uno strumento noto come la UCLA Loneliness Scale, dimostra che il grado di solitudine peggiora per ogni generazione successiva.” “La solitudine ci sta uccidendo”, continua l’articolo, e a riprova vengono citati i 45.000 decessi per suicidio nel 2018 negli Stati Uniti e gli oltre 70.000 casi di sovraddosaggio di farmaci e stupefacenti.

La ricerca dei fattori associati alla solitudine

La De Jong-Gierveld Scale rappresenta l’altro questionario più frequentemente utilizzato per studi sulla solitudine.

Ne è esempio una ricerca condotta in undici paesi europei utilizzando i dati della Generations and Gender Survey su 33.832 cittadini europei di età compresa tra i 60 e gli 80 anni.

I risultati dimostrano una considerevole eterogeneità tra i diversi paesi in termini di solitudine della tarda età, specialmente tra le donne.

I tassi più severi di solitudine sono risultati presenti nel 30-55% di uomini e donne dell’Europa orientale, rispetto al 10-20% dei loro pari dell’Europa occidentale e settentrionale.

La solitudine è risultata fortemente associata a uno stato socioeconomico più basso, a uno stato di salute più scadente e alla mancanza di un partner.

Più della metà della varianza nazionale nella solitudine è apparsa mediata da salute, stato di partenariato e disparità socio-economiche tra i paesi.

Altre differenze riscontrate dallo studio ma non convincentemente interpretate potrebbero essere in relazione al diverso livello di benessere sociale e alle norme culturali vigenti nei paesi da cui i soggetti provenivano.

Nello specifico, la Moscow Health Survey riporta come in Russia i sentimenti di solitudine siano maggiormente associati a problemi di salute e a un basso livello socio-economico.

Lo studio mette in luce la necessità di ulteriori ricerche sul fenomeno e il modo in cui influisce sulla sanità nei paesi dell’Europa orientale.

Soli in America Latina

Aumento degli anziani che vivono da soli in America latina. In America Latina, la situazione non sembra migliore.

In Cile, secondo i risultati dell’ultimo censimento, una famiglia su sei coincide con la tipologia di nucleo unipersonale.

Si tratta di oltre un milione di cittadini che vivono soli, una cifra importante se si tiene conto che il censimento del 2002 aveva rivelato poco più di 480 mila persone in questa condizione.

Per quanto riguarda la popolazione anziana, l’Argentina ha ritenuto necessario fornire un rapporto nazionale per monitorare la gravità del problema.

I dati riportano come il 56,4% delle persone tra i 60 e i 74 anni vivono da soli e la percentuale cresce progressivamente con l’aumentare dell’età.

In Brasile, la sintesi degli indicatori sociali pubblicata dall’Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica (IBGE), mostra che dal 2005 al 2015 il numero di persone che vivono da sole è salito dal 10,4% al 14,6% nel paese, soprattutto nella fascia di età over 50.

La solitudine in Asia

Secondo la ricerca tale dato risulta associato al graduale invecchiamento della popolazione, che a sua volta determina una forte presenza di anziani rispetto a quella rappresentata da bambini e adolescenti.

Sul fronte asiatico, il National Sample Survey Office ha riferito che 4,91 milioni di persone in India vivono da sole e, in maniera più specifica, soffrono di solitudine.

Più recentemente, la National Mental Health Survey indiana ha riportato come numerosi fattori associati alla solitudine abbiano riscontrato un forte impatto sulla salute pubblica: si registra una crescita significativa di soggetti a alto rischio di suicidio e un aumento di oltre il 10% di disturbi mentali, inclusi ansia e depressione, nella popolazione con una particolare vulnerabilità per i bambini e gli adolescenti.

La Cina conferma un’evoluzione sempre più rapida in termini di invecchiamento. Nel 2013 la popolazione anziana di età superiore ai 60 anni ha raggiunto oltre i 200 milioni e si prevede che entro il 2030 questo numero possa salire a quota 360milioni.

Tradizionalmente, gli anziani cinesi ricercano il sostegno sociale nella rete intima dei loro familiari.

Tuttavia, con il drammatico cambiamento economico e socioculturale che il paese ha subito, è sempre più difficile per gli anziani ottenere il supporto di cui hanno bisogno dalle loro famiglie.

Uno studio recente ha evidenziato come circa un anziano cinese su quattro ha riferito di vivere in una condizione di solitudine (Luo e Waite, 2014).

Il Giappone, in termini statistici, è formidabile. Circa 18,4 milioni di persone vivono sole, il doppio rispetto a 30 anni fa. Nel 2017, circa 45.000 persone sul territorio nazionale sono morte da sole, inosservate e senza esequie funebri.

Per concludere Diversi paesi si stanno oggi muovendo per contrastare il dramma della solitudine o quantomeno per conoscere la dimensione del problema.

Ora dobbiamo cercare di capire un po’ di più che cosa succede a livello individuale nella persona che si sente sola e quali ne siano le conseguenze nella sfera relazionale, lavorativa, ed esistenziale nel senso più ampio del termine.

Approfondimenti:

L’articolo è tratto dal volume:“Maledetta solitudine. Cause ed effetti di un’esperienza difficile da tollerare”  di Diego De Leo e Marco Trabucchi(Edizioni San Paolo, Milano, 2019).


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