di Gianfranco Di Lucchio

È di qualche giorno fa il riconoscimento della sentenza che ha permesso a una coppia di uomini italiani, ma residenti nel Regno Unito, di adottare due bambini, fra loro fratelli. A stabilirlo è stato il Tribunale per i minorenni di Firenze con una sentenza storica per il nostro Paese, dal momento che finora era stato possibile ottenere, per le vie giudiziarie, solo l’autorizzazione all’adozione del figlio del partner (la cosiddetta stepchild adoption).

La portata di questa notizia è di notevole rilevanza; viene infatti introdotto un approccio diametralmente opposto a quello degli ultimi decenni sul tema, e in qualche modo si va a colmare, almeno in parte, una situazione di vuoto legislativo che il recente Ddl Cirinnà sulle unioni civili non ha contemplato.

In particolare, il Tribunale di Firenze, con un’articolata motivazione, ha compiuto una completa disamina della disciplina del riconoscimento in Italia dei provvedimenti stranieri che riguardano i minorenni, ritenendo corretto l’inquadramento della fattispecie nell’ipotesi di cui all’art. 36 comma 4 della legge n. 184/83, in materia di adozioni, secondo cui “…..l’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani che dimostrino di avere soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta a ogni effetto in Italia purché conforme ai principi della Convezione dell’Aja 29 maggio 1993…”.

Il Tribunale toscano, sulla base della documentazione prodotta dai ricorrenti, ha ritenuto il riconoscimento della pronuncia nel Regno Unito «assolutamente aderente all’interesse dei minori che vivono in una famiglia stabile, hanno relazioni parentali e amicali assolutamente positive, svolgono tutte le attività proprie della loro età».

E poi continua: «Si tratta di una vera e propria famiglia, di un rapporto di filiazione in piena regola e come tale va pienamente tutelato. A confermarlo, la nuova formulazione dell’articolo 74 cc sulla parentela che, dopo aver specificato in prima istanza che la parentela è vincolo tra persone che provengono da uno stesso stipite, aggiunge “sia nel caso che la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso il figlio sia adottivo”».

L’ordine pubblico internazionale non frappone ostacoli al riconoscimento della continuità dei rapporti che si costituiscono all’estero, per realizzare il preminente interesse dei bambini. È ancora più evidente, a questo punto, l’inammissibile situazione di disuguaglianza in cui versano tutte quelle famiglie che non presentano questi tratti di transnazionalità, alle quali il legislatore nega in modo ideologico qualsiasi forma di riconoscimento e tutela.

In particolare, in merito all’ordine pubblico internazionale, il Tribunale di Firenze fa propri i principi espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016 in un caso di trascrivibilità in Italia dell’atto di nascita di un bambino nato da due donne in Spagna, una cittadina spagnola e l’altra italiana, ritenendo che esso non è enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno ma è da intendersi come complesso di principi ricavabili dalla nostra Costituzione e dai Trattati Internazionali cui l’Italia ha aderito e che hanno, ai sensi dell’art. 117 Costituzione, lo stesso rango nel sistema delle fonti della Costituzione. Se la doppia paternità non è prevista dalle leggi italiane non è solo per questo contraria all’ordine pubblico.

Nell’esaminare l’ulteriore parametro, rappresentato dall’interesse superiore del minore, il Tribunale fiorentino chiarisce che deve essere salvaguardato il diritto dei minori a conservare lo status di figlio, riconosciutogli da un atto validamente formato in un altro Paese dell’Unione europea (preceduto da una lunga, complessa e approfondita procedura di verifica), e che il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione esistente nel Regno Unito, determinerebbe una “incertezza giuridica” che influirebbe negativamente sulla definizione dell’identità personale dei minori.

Alla base della pronuncia dei giudici toscani è stato dunque posto il principio dell’interesse dei minori, che dovrebbe sempre essere pienamente tutelato in tutte le più svariate questioni giuridiche inerenti al diritto di famiglia.

Come prevedibile in un tema così delicato, numerose e contrastanti sono state le reazioni del mondo politico e religioso: c’è chi ha gridato allo scandalo, ponendo l’accento sulla necessità di difendere la famiglia “tradizionale”, chi ha rilevato la consuetudine della magistratura a sostituirsi al legislatore, laddove compito dei giudici dovrebbe esclusivamente essere quello di applicare le leggi e non di farle, chi ha invitato la politica ad attivarsi, per evitare che tutti ricorrano all’intervento della magistratura per sanare un evidente quanto atavico vuoto legislativo e infine chi ha sottolineato la portata storica della pronuncia, con cui si compie un altro passo fondamentale verso l’affermazione, anche nel nostro paese, del diritto delle persone omosessuali ad una vita familiare piena.

Si aggiunga poi, in merito ai dubbi di tanti circa gli eventuali e potenziali effetti negativi sulla crescita di un minore in una famiglia omogenitoriale, che gli esperti sono ormai in gran parte d’accordo sul fatto che non ci siano problemi a crescere in una famiglia omogenitoriale: le famiglie con madri lesbiche e padri gay sono infatti considerate simili a quelle composte da genitori omosessuali, per quanto riguarda il funzionamento della famiglia, la soddisfazione diadica, che valuta il grado di felicità o infelicità percepito e lo sviluppo del bambino.

Quel che appare evidente, di certo, è l’incapacità della politica di fornire risposte e strumenti normativi alle coppie, non solo omosessuali. I procedimenti di adozione restano, infatti, ancora oggi tra i più complicati e restrittivi d’Europa, e finiscono spesso per fallire. Intervenire in tal senso potrebbe essere un buon punto di partenza per sottrarre qualche fanciullo in più alla solitudine e qualche argomentazione in più ai costruttori di polemiche.

Indipendentemente poi dai diversi punti di vista, un dato è sicuramente incontrovertibile: in fondo, che sia meglio avere due papà piuttosto che nessun genitore è abbastanza intuitivo e che sia auspicabile dare a un bimbo una famiglia, pur diversa dai canoni “tradizionali”, anziché condannarlo a trascorrere anni in strutture di accoglienza che a volte di accogliente hanno solo il nome,anche (senza poi entrare nel merito del volume di affari che gira intorno alle cosiddette case famiglia, strutture finanziate con soldi pubblici, in cui spesso a prevalere è purtroppo l’interesse a prolungare i tempi di permanenza dei minori, ospitati in condizioni al limite della soglia di decenza e della dignità umana…).

Ben vengano allora anche gli scandali, finché fanno parte di quel processo evolutivo che ci conduce verso un progresso lento, faticoso, ma inevitabile.

Frattanto, due bambini hanno ora la possibilità di avere qualcuno da chiamare “papà” anche in Italia e questo è un dato che nessuno potrà mai strumentalizzare.


Segui #lepilloledicittadinanzattiva

#lepilloledicittadinanzattiva