di Lucia Ferrero

“La maggior parte delle persone che si rivolgono agli Sportelli di Cittadinanzattiva Emilia-Romagna è di origine straniera. Ecco perché, con il presente articolo, vorremmo testimoniare la gravità del binomio crisi abitativa-discriminazione razziale che incombe sulle loro spalle e impedisce a molti di vivere a Bologna”
Che trovare casa a Bologna sia un incubo, per chi conosce la città, non è certo una novità.
Spesso chi cerca non tenta nemmeno di affittare un appartamento intero, bensì un posto letto in un alloggio, se non addirittura in una stanza condivisa.
Da alcuni anni le cittadine e i cittadini assistono all’irrefrenabile e quotidiana ascesa del caro-affitti, inversamente proporzionale ai numeri delle abitazioni disponibili. Relazione indissolubile, diranno gli economisti: tanta domanda e poca offerta portano i prezzi alle stelle.
Una delle cause principali della carenza di alloggi, bisogna ammetterlo, consiste nella totale assenza di regolamentazione comunale in merito (spesso promessa, fino ad ora mai attuata). Questa, infatti, dovrebbe imporre un tetto massimo agli affitti destinati alla popolazione di studenti fuori sede e lavoratori che vivono la città, da un lato, e una limitazione al proliferare di appartamenti votati al business privato di Airbnb, dall’altro. [Da quanto riporta Inside Airbnb, oggi, 21 luglio 2023, gli annunci per un posto letto a Bologna sono 4393].
Poiché tali restrizioni al momento sono totalmente assenti, il disagio abitativo interessa trasversalmente gran parte della popolazione. Alcune persone tentano di manifestarlo e denunciarlo pubblicamente ed esplicitamente (vedi le proteste studentesche con tanto di tende da campeggio in piazza). Altre, invece, lo subiscono, e si vedono spesso costrette ad abbandonare la città in cui vorrebbero vivere e lavorare. Fra queste persone, le più colpite dalla crisi abitativa sono le cittadine e i cittadini di origine straniera. La carenza di abitazioni economicamente accessibili, infatti, per loro si somma a un’ulteriore problematica apparentemente insanabile: il razzismo, spesso implicito, latente eppure determinante nel giudizio, dei proprietari di alloggi.
A marzo di quest’anno è stato pubblicato il Primo rapporto dell’osservatorio dello Sportello Antidiscriminazioni del Comune di Bologna (SPAD). Il report illustra e analizza a livello qualitativo e quantitativo i casi di discriminazione rilevati dallo sportello sul territorio cittadino tra il 27 novembre 2021 e il 31 ottobre 2022. Nella classifica delle situazioni in cui il numero dei casi è più elevato, al secondo posto compare il mercato immobiliare (si veda il grafico n°20, “Discriminazioni per ambito”).
L’operato dello SPAD è importante perché testimonia la realtà e la consistenza di un problema che troppo spesso viene giudicato inesistente, estraneo a una città “accogliente” come Bologna (indicativo, a questo proposito, il titolo di un interessante articolo della ricercatrice Sarah Walker relativo al presente argomento, pubblicato su openmigration.org e intitolato “A Bologna solo portici aperti”).
La maggior parte delle persone che si rivolgono agli Sportelli di Cittadinanzattiva Emilia-Romagna è di origine straniera. Ecco perché, con il presente articolo, vorremmo testimoniare a nostra volta la gravità del binomio crisi abitativa-discriminazione razziale che incombe sulle loro spalle e impedisce a molti di vivere a Bologna.
Chi scrive è responsabile dello Sportello Ricerca Lavoro. Il servizio fornisce supporto, orientamento e assistenza a coloro che sono in cerca di un’occupazione.
Sono molti i giovani di origine africana che sono arrivati a Bologna, e al nostro Sportello, con la speranza di intraprendere un nuovo lavoro.
Alcuni l’hanno trovato e poco dopo l’hanno lasciato perché privi di una casa.
Altri, mossi da non si sa quale inscalfibile forza di volontà, mantengono l’occupazione a costo di dormire a casa di amici, quando fortunati, o per strada, quando meno fortunati.
Un esempio su tutti. Ho conosciuto Boubacar nella primavera del 2022. Abbiamo redatto insieme il suo curriculum e una lettera di presentazione che potesse inviare in risposta agli annunci di lavoro. L’ho affiancato nella ricerca e dopo un mese ha trovato un impiego. Contratto a tempo determinato, scaduto poi rinnovato due volte. Non avevo sue notizie da settimane quando si è presentato in ufficio a metà aprile. Voleva darmi di persona la grande notizia: ha firmato un contratto di lavoro a tempo indeterminato in un’azienda.
Però c’è un problema: il proprietario di casa sua è mancato e gli eredi vogliono vendere l’alloggio. Boubacar ha due mesi di tempo (fino a metà giugno) per trovare una nuova casa. Ha contattato le agenzie immobiliari, ha risposto a ogni annuncio che ha rintracciato sui gruppi facebook dedicati agli affitti. Niente, spesso nemmeno una risposta.
Eppure ha tutte le carte in regola, dal permesso di soggiorno al contratto di lavoro.
Da un mese lavora sei giorni su sette e dorme ogni notte sul divano nella cucina di un amico, che gentilmente lo ospita. E come lui tantissime persone straniere che quotidianamente arrivano ai nostri sportelli.
Questa situazione è inaccettabile. Non si può perdere o rischiare di perdere un’occupazione, e soprattutto la dignità, per colpa di un mercato immobiliare xenofobo e razzista.

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