A cura di Valeria Ribani

Fare del volontariato

È un ottimo modo per rimanere attivi e tenersi impegnati una volta raggiunta l’età della pensione. Impegnarsi in attività gratuite offre la possibilità di rimettersi in gioco, fare nuove esperienze, acquisire nuove competenze e scoprire nuove cose. Questo mi sono sempre detta, e quando sono andata in pensione sono riuscita a riempirmi le giornate quasi come se lavorassi, o a volte anche di più.

Gran parte della mia attività ha riguardato una mia competenza professionale, acquisita in anni di studio ed esperienze con le persone affette da demenza. Nella mia associazione, ARAD, mi sono fatta promotrice a partire dal 2013 di attività rivolte alle persone con demenza e ai loro familiari: tre caffè Alzheimer, laboratori di stimolazione cognitiva anche al domicilio e in saletta condominiale, laboratorio narrativo per caregiver, e così via.

Poi è arrivato il coronavirus

Tutti a casa. Dapprima ci siamo impegnati ad avvisare tutti i partecipanti: stop!. Non si poteva più uscire! E quindi niente incontri al caffè, niente laboratori, niente condomini….

Va detto che da alcuni anni abbiamo messo a punto alcuni strumenti per comunicare. Ogni caffè Alzheimer, ad esempio, ha un suo gruppo WhatsApp che ha acquisito anche la funzione di auto-aiuto. Ci si scambia battute, video, ma anche informazioni, emozioni, problemi, indicazioni, soluzioni. Non ci si sente mai troppo soli.

Nell’era del coronavirus WhatsApp è stato uno strumento di comunicazione molto importante, permettendoci in tempo reale di comunicare e ricevere risposte dai caregiver che partecipano solitamente alle nostre iniziative. Una grande preoccupazione riguarda il divieto di poter uscire che può aggravare i cosiddetti “disturbi comportamentali” correlati al deterioramento cognitivo come l’ansia, l’agitazione, l’irritabilità…

Il lavoro di cura è durissimo

Anche per i familiari e le badanti, che si prendono cura degli anziani affetti da demenza, poi, la situazione può diventare ancor più pesante di quanto già non sia normalmente.

L’isolamento riguarda in genere una coppia: il malato e chi se ne prende cura con esiti davvero disastrosi. Come fare per essere d’aiuto in questa fase di segregazione? Allora abbiamo pensato ad alcune soluzioni.

L’uso di Skype

Per tutti quelli che hanno WhatsApp è stato fatto un “tutorial” per scaricare Skype sul telefono o sul computer. Per fortuna molti familiari già ne disponevano.

Poi abbiamo effettuato un primo tentativo di laboratorio con i caregiver che partecipano al laboratorio narrativo, gestito da una neuropsicologa e da un attore molto preparato anche nelle tecniche e nelle forme del teatro sociale.  Il laboratorio via Skype è stato un successo. La programmazione va avanti come se il coronavirus non ci avesse impedito di uscire. Quindi, abbiamo deciso di allargarlo al caffè Alzheimer. Così siamo partiti con un incontro del caffè con un tempo dimezzato, ma davvero molto gradito. I commenti successivi sono stati: “Volevo dirvi che la mia mamma è sta molto contenta…” ed anche “Grazie a tutto lo staff” “E’ stato un grande piacere rivedervi”.

Supporto psicologico e medico online

Su Skype la Psicologa effettua i colloqui individuali, ed è disponibile in alcune fasce orarie dal lunedì al giovedì, previo appuntamento. Anche la Geriatra risponde alle richieste dei familiari sui dubbi che sorgono in questo periodo di clausura in cui raggiungere i servizi sanitari non è neppure così scontato.

Alcune riflessioni

Le persone fragili sono quelle che meno fruiscono della tecnologia, ma in questo frangente mi sono resa conto di quanto sia stata dura mantenersi utili proprio per loro “nell’era del coronavirus”. Ma quante persone vivono situazioni di segregazione?

Io stessa ho spesso snobbato l’importanza dell’uso dei social, del computer, dello smartphone, o di Skype, abituata a percepire la solidarietà o la socialità come l’incontro dei corpi, del vis a vis, dell’abbraccio, insomma investendo tutte le modalità fisiologiche per percepire il mondo. Invece no.

Ci sono persone che non escono mai

Anche senza pandemia. Sono persone spesso sconosciute, quelle che cerchiamo nel nostro lavoro di welfare comunitario, a rischio di esclusione sociale totale.

Io non so come si possa fare, ma ho acquisito la consapevolezza che il telefono o il computer possono divenire un bene di prima necessità contro l’isolamento per favorire l’inclusione sociale. Ma gli anziani più fragili, per definizione i più soli, spesso non lo posseggono o non lo sanno usare. Allora dovremo trovare una soluzione, non so quale, ma il problema è lì.

Io ho imparato questo. E non è poco.

Intanto penso ad organizzare il prossimo caffè Alzheimer via Skype, insieme a chi ci aiuta da sempre.

Basta un telefono!


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