Un focus su assistenza domiciliare, consultori, servizi di salute mentale

Assistenza domiciliare integrata. Ad oggi in Italia meno di 3 anziani over 65 su 100 è inserito in percorsi di ADI, con una forbice tra le diverse aree del paese che va da meno dell’1% in Molise, Valle d’Aosta e Provincia aut. di Bolzano, al quasi 5% (in Abruzzo). Dati decisamente più bassi rispetto alla maggior parte dei Paesi europei, mentre in controtendenza in Italia si mantiene stabile o in crescita il numero di posti letto in residenze sanitarie assistenziali. Combinando i servizi resi in ADI e le cure residenziali, si evince come diverse Regioni italiane riescano ad offrire assistenza a più di un anziano su 6.
Particolarmente difficoltosa la fase di attivazione dell’assistenza domiciliare, come denuncia quasi il 34% dei cittadini che si rivolge a Cittadinanzattiva. Il 21% ritiene insufficiente il numero di giorni/ ore di assistenza erogati insufficienti, il 17% inadeguata la gestione del dolore (17,4%), l’8% carente l’assistenza psicologica.
Consultori familiari. Istituiti nel 1975, l’attuale Decreto di riforma dell’assistenza territoriale ne prospetta un rilancio prevedendone 1 ogni 20.000 abitanti con possibilità di 1 ogni 10.000 nelle aree interne e rurali. La situazione attuale è molto diversificata nei territori. In Italia ci sono 2.227 consultori attivi a fronte di uno standard minimo di 2.949: rispetto alla popolazione, il rapporto medio è di 1 ogni 35 mila residenti, nel 2008 era 1/28.000, nel 1993 era di 1/20.000. Dunque numeri in costante decrescita per un servizio centrale per la prevenzione e la promozione della salute, soprattutto per le giovani generazioni e per le donne. Solo in 5 Regioni e una Provincia autonoma – Valle D’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Basilicata e PA di Bolzano – il numero medio di residenti è compreso entro i 25.000, mentre in 6 Regioni ed una Prov. Aut.– Lombardia, Veneto, FVG, Lazio, Molise, Campania e PA di Trento – il numero medio è superiore a 40.000 residenti per consultorio, che quindi copre un bacino di utenza più che doppio rispetto a quanto previsto dal legislatore.
Anche a livello di composizione delle equipe che vi lavorano, il quadro è assai variegato: la disponibilità della figura del ginecologo varia da 5,4 (PA Bolzano) a 22,4 ore a settimana (Emilia-Romagna) mentre quella dell’ostetrica da 12,4 (Liguria) a 80 ore (PA Trento). Le ore settimanali dello psicologo variano da 1,9 (Piemonte) a 31,2 (Lombardia) mentre quelle dell’assistente sociale da 0 (Valle d’Aosta) a 29,8 (Basilicata).
Diversificato anche il numero di ore e i giorni in cui i servizi restano aperti: le medie più basse, 22-26 ore a settimana, si registrano per le strutture di Piemonte, Toscana, Umbria, Marche e Basilicata, mentre quelle più elevate, 35-37 ore settimanali, si registrano in Lombardia, PA di Trento, Molise e Calabria. Complessivamente il 10,2% è aperto di sabato, era il 14% nel 2008. In Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Campania questa modalità è del tutto assente ed è poco diffusa in Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e Sardegna. La quasi totalità dei consultori del Nord, Centro e Sud, svolge attività nell’ambito della salute della donna; le attività nell’area adolescenti/giovani e nell’area coppia/ famiglia e adozioni sono riportate con percentuali più basse soprattutto nelle strutture del Centro mentre in più dell’80% del Sud si effettua attività in tutte e tre le aree.
Salute Mentale. Su cento segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva in tema di assistenza territoriale, il 27,8% di esse fa esplicito riferimento alla salute mentale, in forte aumento rispetto al dato del 2021 pari al 12,8%. Le segnalazioni delineano uno scenario di crescente deficit strutturale dei servizi di salute mentale: l’assenza o quanto meno la palese carenza di intervento del servizio pubblico fa sì che la gestione se non proprio la cura del paziente psichiatrico sia demandata in moltissimi casi interamente alla famiglia. Le segnalazioni più frequenti nell’ambito della salute mentale raccontano le grandi difficoltà che gravano sui pazienti e sule loro famiglie, se non proprio la disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (lo denuncia quasi il 28%), la carenza di figure sanitarie sul territorio (17%), la scarsa qualità dell’assistenza (14,4%), la mancanza o carenza di strutture e centri pubblici (10,8) lo strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (9%), gli effetti delle cure farmacologiche (8,1%), la difficoltà di accesso alle cure pubbliche (4,5%).

leggi il Rapporto-civico-sulla-salute-2023


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