A cura di Aleksandra Kudaj

Il laboratorio di teatro è entrato nella fase della preparazione dello spettacolo che andrà in scena a fine maggio. Stiamo passando in maniera fluida dagli esercizi “puri” al montaggio delle scene. Ciò che è destinato a diventare una scena dello spettacolo spesso nasce spontaneamente dalle nostre improvvisazioni, dai nostri esercizi e dai nostri giochi. Non siamo ancora nella fase delle prove vere e proprie, ma lo spettacolo si sta delineando. Porteremo in scena una fiaba di Andersen. Per ora non voglio svelare quale. 

Attività durante le lezioni

Non amo molto la definizione “insegnare teatro”. Personalmente non credo che il teatro sia qualcosa che si può insegnare a qualcuno. Puoi insegnare a usare il diaframma mentre parli (e a lezione lo facciamo), oppure a non mettersi di spalle al pubblico, ma questi sono dei tecnicismi, non è teatro. La recitazione fa parte delle facoltà umane, il teatro ce l’abbiamo tutti. Certamente ci sono persone più portate o meno portate (io direi piuttosto più o meno consapevoli di questa facoltà), ma credo che con l’aiuto dell’altro, ogni persona può trovare il suo personale modo di fare il teatro. Dopotutto, tutti noi recitiamo in questa vita, in continuazione ci caliamo nei vari ruoli a seconda delle circostanze, non siamo mai liberi dalla maschera e dalla “forma”. Raggiungere questa consapevolezza è il primo passo verso il conoscersi veramente. Come racconta lo psicanalista canadese Berne, la maggior parte delle persone non se ne rende conto e inoltre fa un cattivo uso di questo teatro nella vita – per questo spesso è infelice. Ci siamo soffermati su alcune teorie di Berne durante un paio di lezioni. In particolare sulla sua teoria dello script, teoria del copione che scegliamo di seguire inconsciamente, a volte già nell’infanzia. La cultura (inclusa la popculture) ci fornisce un’infinità di copioni da recitare e una marea di “eroine” da copiare. Un intero ramo degli script da perseguire per rovinarsi la vita è rappresentato dalle fiabe e ho deciso di partire da lì. Ho scelto una che secondo me è particolarmente pertinente al discorso e i primi incontri quest’autunno abbiamo dedicato alla lettura di questa fiaba e al dibattito. La teoria è importante, così come lo scambio di opinioni e punti di vista. Questo laboratorio è dunque un incipit di una ricerca condivisa più ampia che ruota attorno a questi temi: il teatro della vita e la vita come una continua performance. 

Laboratorio di gruppo e lavoro individuale

Al laboratorio partecipano 11 persone, e ci tengo a fondere bene il lavoro di gruppo con il lavoro individuale di ognuno di loro. Alcuni sono principianti, altri hanno esperienza attoriale alle spalle, ma in entrambi i casi cerco sia di incoraggiarli a buttarsi, di spingerli a fare ciò che non sanno o non se la sentono di fare, sia di valorizzare i talenti e le predisposizioni che già possiedono, e che magari non sanno nemmeno di avere.

Anch’io imparo insieme e grazie a loro. Impariamo a far lavorare l’immaginazione, a liberare la creatività, a diventare più disinibiti, a entrare in contatto e in confidenza con gli altri, a diventare più sciolti o più controllati, a distinguere ciò che è interessante da ciò che è cliché. Lavoriamo tanto con la musica, fondamentale per la sperimentazione vocale e corporea, per gli esercizi sul ritmo e le coreografie – le attività che spesso partono dal lavoro di tipo introspettivo. Sono esercizi divertenti, di gioco, perché do tanta importanza all’aspetto ludico di questo lavoro, ma facciamo anche altrettante cose non così divertenti e piacevoli. Come nella vita, anche a teatro le emozioni arrivano da varie fonti. 

Finalità

Mi auguro che questo laboratorio, oltre che avvicinare i partecipanti alla recitazione e mettere in scena uno spettacolo, abbia anche una finalità di tipo terapeutico. Non solo per i temi trattati, ma per il lavoro sui personaggi stessi. I partecipanti hanno modo di sperimentare diversi approcci alla creazione del personaggio e questi personaggi qualche volta sono vicini alla loro indole/vissuto/scelte personali, altre volte per niente, sono lontanissimi, estranei, per nulla familiari. E questa è una cosa buona: il teatro è così lo strumento attraverso il quale impari impari a empatizzare e a comprendere l’altro, perché sei costretto a calarti nei suoi panni. In questo modo la recitazione, che nella vita di tutti i giorni viene impiegata per instaurare i giochini, le recite davanti agli altri e noi stessi, le dinamiche interpersonali di vario tipo, qui ritrova la sua dimensione più sincera e nobile.

 


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