A cura di Simonetta Piva, insegnante e volontaria Circolo Dossetti – Milano

 

Io non sono la mia malattia; siamo due conviventi che hanno imparato col tempo a mediare, a trovare soluzioni per “aggiustarci”, per non litigare, per sopportarci.

 

Tutto è cominciato con uno stupido ginocchio, il sinistro

Era ottobre 2020

Dopo una stupenda vacanza trascorsa tra la Calabria e Ischia e dopo un anno particolare, dove era successo di tutto con il Covid, chiusure, limitazioni e Dad, avevo ripreso ad insegnare e ad andare a scuola dove mi attendeva la mia classe, una quinta di scuola primaria.

Un lunedì mattina mi ero ritrovata il ginocchio gonfio e dolente e avevo faticato moltissimo sia a camminare sia a fare le scale.

Ero molto irritata da questa situazione perché mi ero sempre considerata una donna forte, abile e inarrestabile; questo stupido ginocchio invece mi limitava e mi presentava una fragilità nel mio corpo che non conoscevo.

Così dopo una settimana difficilissima mi sono rivolta al pronto soccorso e qui ho trovato un medico lungimirante; ha osservato Il mio ginocchio, lo ha palpucciato, lo ha siringato e poi ha affermato con sicurezza che, dalla sua esperienza, quello poteva essere l’inizio di una malattia autoimmune.

L’ho guardato con quello sguardo che hanno a volte le maestre quando ascoltano sproloqui dai loro alunni, con sufficienza, immaginando che avesse detto una cosa impossibile.

 

La conferma della diagnosi

A febbraio del 2021 la diagnosi fu certa; artrite reumatoide in una forma particolarmente violenta. Avevo trascorso i mesi precedenti tra esami, visite, un’artroscopia al ginocchio e parecchi dolori.

La diagnosi ormai definitiva mi aveva tolto ogni speranza; non ero quella “Wonder Woman” che immaginavo, ma ero fragile, in balia del dolore che non conoscevo e con una malattia da cui non sarei mai guarita.

Le prime sensazioni furono sicuramente quelle della paura e dello smarrimento.

L’ospedale dove ero in cura mi prescrisse quindi un farmaco largamente diffuso per contenere la malattia ed io cominciai la terapia.

Quando sei in certe condizioni ti affidi e io mi affidai a quella terapia nella convinzione che prima o poi sarebbe risultata utile, il dolore sarebbe passato e io avrei potuto ricominciare una vita più normale

Purtroppo non andò proprio così; la terapia non solo non funzionò, ma ebbi una reazione avversa al farmaco e le cose precipitarono; in realtà io non mi rendevo neanche conto di quel che stava accadendo perché ero talmente provata da non riuscire a reagire.

Fu la mia bravissima dottoressa che, in una visita casuale, comprese la gravità della situazione e quindi poi fui ricoverata per una ventina di giorni.

 

Finalmente la cura giusta

I giorni del ricovero sono stati un po’ i giorni della consapevolezza, perché il lento ma graduale miglioramento mi permettevano di guardarmi allo specchio e di vedere come ero cambiata.

È difficile accettare un cambiamento non voluto non scelto, accettare un corpo che si dissocia da te dai tuoi desideri e sembri in un declino incontrollabile.

Però in ospedale ecco piccoli progressi, miglioramenti che cominciavano a vedersi; la mano, che non si chiudeva più, cominciava a riprendersi, riuscivo a fare quattro passi e potevo andare a prendere il caffè alla macchinetta.

Dopo alcuni tentativi vani ho individuato il mio farmaco guida, quello che mensilmente vado a farmi somministrare in ospedale; allora ho deciso che la giornata destinata alla terapia è la giornata destinata allo shopping milanese.

 

Ho fatto pace con la mia malattia e con il mio corpo

Ho fatto risorsa, ho deciso che non potevo anche deprimermi, ho deciso che potevo accettarmi anche imperfetta e che potevo convivere con la mia malattia, concedendo a lei il suo spazio, ma privilegiando i miei desideri.

Io non sono la mia malattia; siamo due conviventi che hanno imparato col tempo a mediare, a trovare soluzioni per “aggiustarci”, per non litigare, per sopportarci.

Oggi sto bene, sia perché i miei medici mi seguono con professionalità, sia perché io ho ancora voglia di raccogliere le ciliegie dall’albero della mia vita.

Il ginocchio sinistro però, non l’ho ancora perdonato…

 

Foto di Svetlana da Pixabay

 


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