a cura di Don Virginio Colmegna 

Essere volontari per una cittadinanza inclusiva

Partendo dall’esperienza  in Casa della carità  (CDC) accanto o con chi “non conta”, è fragile, ultimo, portatore di domande senza accontentarsi di “celebrare” l’aiuto che si dà e di portarlo  a nostro “vantaggio” sul piano del merito, bisogna interrogarsi sul cambiamento che gli ultimi invocano, sulla solidarietà che si deve rendere patrimonio di cittadinanza, sulla spiritualità che richiede e mette in moto.

Laudato sì

Partire dagli ultimi non è un eroismo di santità e di sacrificio, ma è un’esigenza di felicità e giustizia, è renderci sempre più consapevoli che apparteniamo ad un’umanità che si prende cura della casa comune, che sa avvertire il senso di essere “viventi”. E’ la grande lezione della Laudato sì che richiamo proprio all’inizio della mia relazione.

La mia esperienza in cdc è un dono gratuito, che entra nella nostra cultura, nel modo di vivere. Il volontariato nasce da questa sorgente e che oggi più che mai chiede di essere rivisitata, riscoperta.

Gaudete et exultate

Permettetemi di citare Papa Francesco con l’ultima esortazione apostolica Gaudete et exultate che ci consegna quella che possiamo chiamare la santità del quotidiano. Essere volontari non è un merito primariamente, ma un dono, ecco perché mi sono lasciato trascinare dall’emozione. La parola volontariato sottende tanti significati e non può essere contrabbandata come un appello generico alla generosità che vale “per tutte le stagioni”, che comunque riceve  consenso univoco perché è comunque ininfluente nelle scelte socio-politiche, quelle che incidono sul vivere sociale e che rimandano ad una cultura “politica”.

Come farsi carico degli invisibili

Oggi non è più così perché vi è un conflitto sul come farsi carico di quelli che genericamente chiamiamo invisibili, che hanno poco potere, che non contano e per di più non vorremmo averli tra noi. Ritorna in campo un orizzonte strategico che è partire dalla dignità di ogni persona, dal diritto alla dignità anche se debole e fragile, anzi soprattutto in questo caso. Ecco perché il volontariato chiede relazioni fraterne, di appartenenza, di reciprocità e invoca  una cultura di cittadinanza inclusiva. Possiamo dire che si può discutere sul come, non sul se condividere.

Papa Francesco ci ha restituito una parola-chiave, fondante, che va riletta in tutte le scelte, anche le più complesse: la parola è fraternità. E’ l’orizzonte strategico che fa essere volontari perché partecipi di questa domanda di cittadinanza.

Gratuità è l’alfabeto del volontariato

Il volontariato allora imprime nell’operare, nell’urgenza sollecitata spesso da emergenze, il riferimento al diritto di ogni persona, alimentato da una cultura di uguaglianza che promuova una visione della vita e della dignità che invoca e chiede una solidarietà non “di difesa proprietaria e individualista”, ma diffusiva, capace di anticipare e restituire il senso di un’umanità che si appassiona di giustizia, che lo sente come un dovere  e una responsabilità di cittadinanza. E’ una solidarietà di appartenenza e non di esclusione e che per questo parte proprio da dove si esprimono i segnali dell’abbandono e dimenticanza.

Il volontariato come anticipatore di processi sociali

E ritorna il valore del volontariato che educa al disinteresse, che alimenta e si sostanzia in quello che chiamiamo scelta di gratuità. E’ questa la parola chiave  che dà al volontariato, proprio in questa fase storica, la sua originalità, la sua sorgente. E’ il linguaggio della gratuità che è il patrimonio, l’alfabeto  del volontariato, richiamandomi al maestro che fu Mons. Nervo ed Eletta Martini. Un volontariato non ingabbiato nella gestione soltanto di risposte, ma anticipatore, capace di dare voce a chi non ha voce.

Giustizia e mitezza

Gratuità e disinteresse richiedono una “spiritualità giovane”, capace di liberarsi dalla pesantezza della paura e delle chiusure, promuovendo sentimenti miti.  Sì permettetemi un riferimento evangelico “imparate da me che sono mite e umile di cuore”. La mitezza non è arrendevolezza: se siamo passivi o indifferenti di fronte al male, non siamo persone miti. La giustizia  e la mitezza sono il baluardo che si oppone al percorso del male, della violenza. E’ la grande e mite obiezione di coscienza che il volontariato porta nel suo DNA.

Il linguaggio del volontariato

Possiamo dire che il volontariato chiede un linguaggio che è alternativo al rancore, alla violenza verbale e ci consegna la gioia della mitezza, del non essere indifferenti e rinchiusi in una visione soffocante. Il volontariato deve immettere energia di speranza, di responsabilità generata da sentimenti di compassione, di misericordia.

E’ questa la crisi che stiamo vivendo che chiede al volontariato di ritornare a farsi educare e motivare dalla mitezza. Papa Francesco a Lampedusa disse: ”lasciateci piangere”.. oggi il rischio è la freddezza dell’indifferenza. Non sembrino solo frasi poetiche  perché nascono e trovano le radici nel farsi carico di chi è invisibile, dimenticato, scartato concretamente, economicamente e soprattutto culturalmente. Insomma, diventano un peso e un problema.

Per una solidarietà inclusiva

Dobbiamo riscoprire l’urgenza di un’educazione appassionata, che sa chinarsi anche sulle solitudini, che avverte che non tutto è mercato, ma che vi è una scelta di condivisione e di inquietudine che rimette in gioco- come decisivo- il legame che sgorga da una solidarietà inclusiva.

Si è smembrato il valore della solidarietà, rendendola a volte cupa, difensiva, anche rancorosa.

Addirittura dire solidarietà a volte sembrerebbe caricare di responsabilità per la sicurezza dei più fragili, esposti senza difese alle solitudini e paure.

Ecco allora l’urgenza di educare alla gratuità, di riscoprire il disinteresse, il gioire e soffrire, il condividere e anche indignarsi, non accettare in un silenzio omertoso o passivo le ingiustizie.

Sì piangere anche e condividere.

La dottrina sociale

Ecco perché lo dico soprattutto ai giovani perché non subiscano l’indifferenza. Il volontariato è anticipatore di processi sociali, ci consegna il valore dei legami solidali, non si burocratizza e non può diventare solo un’appendice generosa del fare sociale che si arrende al cosiddetto realismo che incamera ingiustizie, disuguaglianze, scarti, cancellazione di diritti, povertà, situazioni colme di ingiustizia. E’ tutta quell’etica sociale che si chiama “dottrina sociale” che forse va vissuta come esigenza e dovere.

Il volontariato non può farsi “rinchiudere”

Non può il volontariato per questo solo “consumarsi” nelle realtà del cosiddetto terzo settore, nel contribuire a fare e a sostenere impresa sociale. Scelte doverose e da sostenere, ma il volontariato chiede e invoca di non farsi “rinchiudere” in quello che a volte rischia di diventare un recinto. Ancora qui ricordo la lezione di Mons. Nervo, ancora attuale, che discuteva e diceva che la Legge 266 non era la legge del volontariato, ma che era una giusta legge che regolava i rapporti tra associazione e istituzione, ma non certamente tutta la domanda di profezia che il volontariato richiedeva.

Ecco perché è giusto e urgente ritornare a ravvivare le ragioni del volontariato che è una motivazione “calda” che respira pace, cultura di pace. Mi piace ricordare qui in continuo richiamo alla pace rilanciato da un disabile, mio amico, Massimo Toschi il cui racconto, che parte proprio dalla sua disabilità, stupisce sempre.

Essere “artigiani della pace”

Vi è tutta quella radicalità che la storia dell’obiezione di coscienza ci ha regalato ed è iscritta nella storia di questo Paese, nella sua testimonianza che è entrata anche nella nostra Costituzione (penso all’art.11).

Quando il 7 dicembre di tanti anni fa’, prima di partire da Ancona un giornalista della Rai domanda a don Tonino: ”Ma lei che sta già male cosa va in cerca  di altri guai a Sarajevo?”. Don Tonino rispose:” qui si stanno sperimentando gli eserciti del domani, i soldati di pace: io devo essere con loro”. Papa Francesco ha coniato un’altra frase “artigiani della pace” e il suo messaggio ci ha indicato la via strategica della non violenza, la forza mite  e creativa della non violenza.

Richiamo opportuno considerato il clima di violenza in cui viviamo!

Lo stile non violento, che non è buonismo, è lo stile di vita

La violenza che esplode nelle situazioni di guerra presenti in varie zone del mondo che provocano dolore, distruzione e morte violenta. Violenza è la criminalità organizzata presente nelle nostre città. I mezzi di comunicazione sociale poi ci mettono quotidianamente di fronte a situazioni di violenza all’interno delle famiglie, pensiamo al bullismo tra i ragazzi in ambito scolastico. E’ un’aggressività distruttiva, presente nelle relazioni interculturali, che provoca gravi conseguenze sia per chi subisce violenza, sia per il violento stesso. Ecco perché lo stile non violento, che non è buonismo, è lo stile di vita.

“La non violenza è la forza dell’amore più potente della forza bruta” (Gandhi).

La cultura della pace

La pace deve avvolgere ogni scelta, ci spinge dovunque e chiede di consolidare una vera cultura di pace che obietta, dice tanti NO, per dire tanti SI’.

E’ una grande energia di futuro, di sobrietà; con la Laudato sì Papa Francesco ci consegna un cammino, un viaggio di pace, di cura della terra e della casa comune. E’ rivolto a tutti, pensanti e diversamente pensanti.

Questa energia di vita non può essere “addomesticata” dal volontariato, da un servizio civile funzionale ad un sistema svuotato di profezia e carico di disuguaglianze. E’ alternativo il volontariato-ad una cultura di solidarietà chiusa su se stessa, rassegnata, che promuove identità chiuse, che al massimo cercano di “rigenerarsi” in generosità particolari.

La cultura “volontaria”

Abbiamo bisogno di portare questa cultura “volontaria” anche là dove la politica  è incapace di generare solidarietà diffusiva.

Dobbiamo rilanciare la profezia del volontariato; ecco perché va promossa una narrazione diversa del volontariato: è un capitolo da riscrivere, che richiede anche energia politica, per coltivare un profondo senso delle istituzioni, contrastando quello che Papa Francesco indica come paradigma tecnocratico.

Contrastare l’individualismo

Bisogna contrastare “la sbornia” dell’individualismo proprietario, che fa scaturire una vertenzialità aspra e rancorosa. Stare dalla parte dei poveri, dei fragili è una cultura mite che parte dagli indifesi, invisibili, anche da quelli che vengono contaminati dalla marginalità; dal disagio e devianza. Siamo a 40 anni dalla legge Basaglia, questa cultura de-istituzionalizzante che ha posto il cuore nella comunità locale, in quel modo di liberare le energie di vita, aprire le porte, chiudere i tanti manicomi e contenitori che stanno ancora prendendo corpo anche nel pensare.

Un volontariato di cittadinanza

E allora si esige tanta intelligenza, sapienza popolare e capacità di ascolto. Certo il virtuale, i circuiti amicali fatti via internet possono esserci, ma dobbiamo ritrovare la capacità di stare sul territorio, coltivare relazioni fraterne; è quella amicizia civica che chiede anche alla politica un salto di qualità, una urgenza che ci chiede di essere umani, rimanere umani.

Da che parte stare, chiede una risposta 

Dobbiamo per questo coltivare legami o speranze e soprattutto promuovere energia politica, liberata dalle chiusure. La domanda da che parte stare chiede una risposta. Stare dalla parte di chi è emarginato tagliato fuori e da lì ricostruire spazi di cittadinanza, di responsabilità e giustizia sociale. La difesa dei diritti invoca e richiede il dovere della responsabilità. Ecco, farsi educare dai poveri, da questo bisogno di giustizia e legalità, di lotta contro la corruzione riapre l’urgenza di un volontariato di cittadinanza non indifferente.

Davvero ricordiamo quanto don Milani diceva: ”La carità senza giustizia è una truffa”.

La rete della carità

Noi riproponiamoci un impegno che sento anche in cdc come davvero esigente e gioioso; sì, dobbiamo restituirci il fatto che la gratuità e l’ospitalità generano vita e speranza. E’ una domanda di felicità. Per questo ricordo il Card. Martini che ci richiamava all’eccedenza della carità.

Noi stiamo proponendo una rete della carità, ricca di tante esperienze.

La conversione ecologica

Papa Francesco ci chiede e richiama la Chiesa a non essere solo una ONG: questo vale per tutte le realtà di volontariato, per liberare le energie di gratuità e vivere una spiritualità laicamente vissuta che ci dona il valore dei sentimenti che mettono in campo anche le emozioni, che non possono essere anestetizzate da una chiusura rancorosa o soffocate da una paura che va certamente vissuta e attraversata dalla mitezza che il volontariato ci dona.

Forse conviene quella conversione ecologica di Papa Francesco.

 

Foto di vargazs da Pixabay


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