Perché è importante la presenza del caregiver nell’ospedalizzazione della persona disabile?

I familiari di persone con disabilità hanno da sempre incontrato difficoltà nell’accesso alle cure e nell’ospedalizzazione.

Le persone con disabilità spesso non sono in grado di collaborare con medici e operatori sanitari. Queste criticità, presenti da sempre, sono esplose durante l’epidemia e hanno aggravato la situazione.

Da tempo i caregiver familiari hanno chiesto di essere ricoverati insieme alla persona con disabilità e che questa possibilità sia garantita in tutti gli ospedali.

Il supporto del familiare, infatti, è indispensabile nei casi in cui la persona non sappia spiegare le sue problematiche, riferire la propria storia clinica e ha bisogno di un punto di riferimento rassicurante e mediatrice con l’ambiente nuovo “un caregiver familiare in ospedale vive letteralmente incollato alla persona che assiste, senza mai staccargli gli occhi di dosso, perché diventa tutto ciò che quella persona non è in grado di fare: dal suo lamento per segnalare dei dolori, dei malesseri, delle lievissime anomalie, spesso così importanti per i sanitari quando si tratta di salvare la vita. Il caregiver familiare sa come fare per spiegare alla persona non autosufficiente cosa gli sta succedendo quando gli fanno dei prelievi, gli somministrano dei farmaci, lo visitano. Tutte cose che possono sembrare naturali a chiunque, ma che diventano violente e gravemente traumatizzanti a chi ha difficoltà nel comprendere un contesto sconosciuto già largamente angosciante per il fatto che si sta male

Poche righe per cambiare la situazione

Il nuovo Dpcm, in particolare comma 5 dell’articolo 11 per la prima volta riconosce al caregiver la possibilità di prestare assistenza in ospedale alla persona con disabilità: “È fatto divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (DEA/PS), salve specifiche diverse indicazioni del personale sanitario preposto”, si legge nel testo, che però introduce una importante “eccezione per gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, che possono altresì prestare assistenza anche nel reparto di degenza nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura”.

Un buon risultato da migliorare

Le associazioni per la tutela dei diritti delle persone con disabilità e dei caregiver, accolgono con soddisfazione la notizia ma chiedono chiarimenti e sono: “molto preoccupate”, “per il linguaggio utilizzato: si parla infatti di ‘accompagnatori’ e non di caregiver in senso ampio – osservano – Questo ci fa pensare che il ruolo dei caregiver non verrà mai riconosciuto”. Infine, le associazioni chiedono al presidente del Consiglio, a tutti i ministri e alle forze politiche di “convertire in legge l’articolo 11, Comma 5, attraverso un decreto legge, affinché tale norma risulti senza limite temporale e possa rispondere definitivamente al diritto alla salute delle persone con disabilità grave Art.3, Comma 3. questo – precisano – nel rispetto dell’Art. 25 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che chiarisce espressamente ed in ogni sua parte, come gli Stati membri debbano garantire la salute del cittadino con disabilità, adeguando i servizi e la loro organizzazione alle loro peculiari necessità”.

 

Foto di Peggy Choucair da Pixabay

 


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