Questo articolo di Carlotta Favaro è stato pubblicato originariamente sul webmagazine The Bottom Up. La foto di copertina è di Anna Toniolo.

A quasi un anno dall’invasione russa in Ucraina, non c’è ancora piena chiarezza sul funzionamento del sistema di accoglienza delle profughe e dei profughi ucraini in Italia. Nonostante la mobilitazione e le normative attuate a livello nazionale ed europeo per facilitare l’accoglienza, la rigidità della burocrazia italiana non agevola i profughi presenti nel territorio a uscire da una situazione estremamente precaria.

I problemi principali

Le prime difficoltà si sono già viste al momento dell’arrivo: secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2022, dei quasi 154.000 profughi ucraini che sono arrivati in Italia entro settembre 2022, solo il 9% ha trovato accoglienza presso il SAI, cioè il Sistema di Accoglienza e Integrazione. Sandro Antonelli, responsabile del Centro Operativo Comunale di San Donà di Piave (VE) che si è occupato in prima linea dell’accoglienza dei profughi ucraini, ha raccontato a The Bottom Up che “trovare e sistemare delle strutture adatte è stato molto complicato, inizialmente nessuno era preparato e nessuno sapeva come muoversi. Queste strutture non offrono il migliore dei comfort: spesso convivono più famiglie in grandi camerate con bagni e cucina in comune. Ci capita spesso che nascano situazioni spiacevoli dovute alla difficile convivenza”.

Anche per coloro che hanno trovato ospitalità privatamente presso case di conoscenti non è stato affatto facile. “Le case in cui i profughi vengono ospitati devono rispettare norme precise e devono essere fatti gli appositi accertamenti. È stato necessario fare delle deroghe particolari per favorire l’inserimento di queste persone. Inoltre, coloro che si sono offerti di ospitare pensavano di ricevere degli aiuti economici dallo Stato che invece non sono mai arrivati e credevano che questa situazione sarebbe durata un paio di mesi al massimo. A un certo punto molti di loro non hanno più potuto farsi carico delle persone che avevano deciso di ospitare e queste hanno dovuto spostarsi nelle strutture pubbliche”.

Se sin dal primo momento cittadini e gruppi informali si sono mobilitati in prima persona per offrire aiuto alle persone ucraine,  le istituzioni e le associazioni che se ne sarebbero dovute occupare non sono riuscite perfettamente nell’intento. Violetta Burla, referente dello sportello stranieri di Cittadinanzattiva Emilia Romagna, racconta a The Bottom Up come siano state le persone ucraine a dover cercare assistenza in prima persona. “Ci sono dei gruppi su internet in cui i profughi si scambiano consigli per ricevere aiuto. La maggior parte di loro si rivolge al Comune e ai Servizi Sociali, ma solo alcuni vengono aiutati, molti altri no”.

Oltre a questa prima difficoltà riscontrata, si aggiunge una qualità del servizio che non è sempre efficiente. “Mi sono arrivate tante testimonianze di esperienze negative da parte di chi è andato in questura perché i tempi sono lunghi, nessuno è disposto a spiegarti bene come funziona e vengono commessi tanti errori”, continua Burla. “Per esempio, molti ucraini sono nati sotto l’Unione Sovietica, ma nel codice fiscale è stato segnato che sono nati in Russia. Questo tipo di errore dà il via a una serie di complicazioni non indifferenti. I profughi ucraini che arrivano qui hanno diritto a un supporto economico di 300 euro a persona per 3 mesi, ma a molti questo è stato negato per via di quest’errore del codice fiscale”.

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