di Federico Licastro

Dal 18 maggio siamo entrati nella fase due del periodo di pandemia da Covid 19.  Nonostante la circolazione del virus sia ancora attiva soprattutto in alcune regioni, quali la Lombardia e il Piemonte, quasi tutte le attività economiche riaprono e inizia una nuova fase di sperimentazione in cui si testerà una nuova convivenza con la epidemia.
Si poteva continuare nel lock-down della maggior parte delle attività economiche e sociali?  Evidentemente no, pena il tracollo economico del nostro paese.  Sfortunatamente le conseguenze economiche della chiusura bimensile saranno comunque pesanti, le previsioni danno un calo del PIL di circa il 9%.  Tuttavia, le conseguenze potrebbero essere molto più pesanti, poiché alcuni settori quali la ristorazione, il turismo e lo spettacolo che contribuiscono per una notevole percentuale all’economia nazionale vivono i giorni più incerti di questo inizio secolo.
La chiusura di parte delle attività economiche nei mesi della fase acuta della pandemia ha anche determinato un accresciuto impoverimento di molte fasce della popolazione italiana che già prima dell’inizio della pandemia vivevano in condizioni precarie e con scarse prospettive di riscatto economico-sociale.
Le scuole hanno chiuso le attività didattiche e l’offerta formativa in concomitanza con l’inizio del lock-down. Dopo circa un mese sono riprese alcune attività didattiche via web con lezioni dal vivo o lezioni preregistrate ed è stato offerto ai bambini e ai ragazzi un minimo di continuità didattica.
I pregi e i difetti di tale modalità di insegnamento saranno sicuramente oggetto di studi e indagini nei mesi futuri e forse sapremo qualcosa di più sulla qualità degli insegnamenti somministrati, sul gradimento da parte degli studenti e sull’efficacia formativa di questo approccio emergenziale.
Sappiamo però che molti studenti di ogni ordine, età e grado non hanno potuto seguire queste modalità di didattica perché sprovvisti di ausili elettronici appropriati o di connessione web o per altre ragioni di esclusione socioeconomica.  Quindi, possiamo immaginare che in questo periodo siano aumentate le diseguaglianze in ambito scolastico sulla base della sola possibilità di usufruire del servizio didattico di emergenza offerto in modalità telematica.
Tuttavia, il danno è stato senza dubbio più profondo se consideriamo la scuola come mondo di interazioni, rapporti sociali e di apprendimento non solo nozionistico.
In altri paesi la chiusura delle scuole è stata più breve e alcuni servizi non hanno mai chiuso.
Ad esempio, in Francia sono stati istituite apposite strutture che hanno accolto i figli dei lavoratori “essenziali” medici, infermieri lavoratori delle catene distributive ecc. durante le ore lavorative dei genitori.  In Olanda gli asili e le scuole materne non hanno praticamente mai chiuso e si sono presi cura dei bambini i cui genitori non potevano farlo per motivi di lavoro.  In Svezia le scuole sono rimaste aperte accogliendo i bambini e i ragazzi che volevano frequentare su base volontaria anche durante i picchi epidemici più elevati.  In Germania con ampia discrezionalità dei singoli Lander si sono riaperte le scuole dopo un breve periodo di chiusura cominciando dalle realtà regionali dove l’indice epidemico era più contenuto.
Chi si è preso cura e ha dato continuità formativa ai figli dei “nostri eroi” cioè di medici, infermieri forze dell’ordine e lavoratori dei settori essenziali che non si sono fermati durante il lock-down?
Probabilmente quando possibile le mamme, le sorelle e i fratelli più grandi o le nonne e i nonni o altri parenti. Ai nostri giovani cittadini sono forse stati disconosciuti in gran parte e ancora di più i diritti alla formazione e all’educazione?
In Italia oggi sappiamo che le scuole rimarranno chiuse fino a settembre; che gli esami della terza media saranno solo on line e gli esami delle superiori in presenza con un colloquio orale.
Cosa sarà dei ragazzini che non hanno un PC o una connessione web casalinga non è dato sapere.
Non sappiamo ancora quali saranno le modalità didattiche prevalenti scelte per la ripresa autunnale.
Tutti in classe, solo una parte con turni in alternanza con presenza fisica e telematica?
E le altre attività formative quali laboratori, attività sportive, attività musicali e artistiche come saranno soddisfatte?
Soprattutto nulla sappiamo di come, quando e quanto saranno avviate a soluzione le varie criticità che affliggevano la scuola italiana prima dell’avvento del virus. Ad esempio, la qualità della didattica, i laboratori didattici, la messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’adeguamento delle strutture sportive scolastiche alle varie norme di sicurezza.
Si stanno distribuendo risorse economiche di una certa consistenza sotto forma di bonus baby-sitter, ma asili e scuole materne rimangono chiuse anche per chi ne avrebbe assoluto bisogno. Forse il virus risparmia la baby-sitter a pagamento, ma colpisce le maestre?  Non ci sono dati scientifici a questo riguardo e le scelte effettuate sembrano del tutto arbitrarie.
Invece sappiamo che i bambini, i ragazzi e i giovani adulti se contraggono il virus spesso è in forma asintomatica o soffrono di forme lievi della malattia.  Sappiamo anche che la mortalità da Covid 19 sotto i cinquanta anni è bassissima.
Sfortunatamente ci sono degli anziani nel mondo della scuola italiana ma sono fra gli insegnanti, il personale ausiliare e quello amministrativo. Ma il rischio di un insegnate è superiore a quello di un infermiere o a quello di un addetto alle casse dei supermercati?
Non abbiamo dati scientifici, ma si sono fatte e si fanno scelte senza una base solida che hanno pesato molto e continueranno a pesare sulla vita sociale e formativa dei bambini e dei ragazzi italiani, soprattutto quelli più disagiati. Aumentano così le diseguaglianze con buona pace di chi per mandato al governo ci dovrebbe stare per farle diminuire.
Dei miliardi di euro che saranno sicuramente spesi nei prossimi mesi anche attingendo da fondi europei, quanti verranno spesi per la scuola e l’università e quali saranno i progetti per migliorare la didattica di qualità per i nostri giovani cittadini?
Per ottenere una migliore qualità della vita per i paesi che aderiscono all’ONU questo organismo internazionale ha stabilito una serie di 17 obiettivi che ciascun paese dovrebbe migliorare prendendo come base il proprio livello di partenza sancito nell’anno 2010.  Gli obbiettivi comprendono la lotta alla povertà, la qualità dell’acqua, l’energia pulita e accessibile, le città e comunità sostenibili e altri obbiettivi importanti.   Lo scopo è quello di misurare entro il 2030 la progressione per ciascun obbiettivo avendo così degli indicatori che permettano di capire se una nazione stia migliorando complessivamente il proprio livello di qualità della vita.

 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay


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