Ci sono quattro tipi di persone nel mondo:
quelli che sono stati caregiver
quelli che attualmente sono caregiver
coloro che saranno caregiver
e coloro che avranno bisogno di caregiver.
Rosalynn Carter, Former First Lady of the United States of America
L’ ISTAT fotografa i Caregiver in Italia
Secondo l’Istat[1], i caregiver, sono 8 milioni e mezzo, oltre il 17% della popolazione, le persone che in Italia si prendono cura di chi ha bisogno di assistenza. E solo 900mila lo fanno per mestiere, rientrando cioè nella categoria dei badanti. Tutti gli altri, parliamo di 7,3 milioni, sono uomini e donne che assistono un loro familiare – coniuge, convivente, genitore, figlio o figlia: ammalato, invalido o non autosufficiente. È la fotografia che l’Istat ha scattato sul mondo dei caregiver, letteralmente donatori di cura, nel nostro paese. Per la maggior parte hanno tra i 45 e 64 anni e, secondo l’Istituto di statistica, in un caso su 4 dedicano alla persona malata più di 20 ore a settimana.
L’indagine ISTAT “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea” del 2015, elaborata dall’Istat utilizzando anche i dati del database Eurostat. Per quanto riguarda in particolare le limitazioni nella vita quotidiana, l’Italia è, purtroppo, sempre quasi in cima alla classifica che tuttavia considera solo le età dai 65 anni in su per tutte le voci, anche se comunque si impenna quasi sempre per gli over 75 rispetto all’altra fascia di età considerata, tra 65 a 74 anni. Un vero e proprio allarme per l’assistenza domiciliare, non solo sanitaria e comunque per l’assistenza che evidentemente è necessariamente continua nella vita di tutti i giorni.
Quattro gli ambiti in cui l’Italia è seconda in Europa per limitazioni: gravi difficoltà (come per tutte le voci) a prendere le medicine (media tra tutte le età 8,6%, per gli over 75, 15,5%, contro una media Ue del 5,2% e del 9,6% per gli over 75); mangiare da soli (Italia 3,6%, negli over 75 il 6%, media Ue 1,9% e 2,6% negli over 75); usare i servizi igienici (Italia 6,5%, per gli over 75 si raggiunge l’11,4%, media Ue 3,6% che negli over 75 si ferma al 6,4%); preparare i pasti (Italia 11,6%, 19,5% tra gli over 75, media Ue 7,3% che arriva al 12,9% negli ultrasettantacinquenni).
Ma anche nelle altre tipologie di limitazioni (sempre gravi) non va meglio.
L’Italia è terza per la difficoltà a usare il telefono (con il 7,4% contro il 4,4% della media Ue) e per sdraiarsi o alzarsi dal letto o da una sedia (Italia 7,3%, media Ue 4,7%).
Le due limitazioni in cui l’Italia non è tra le peggiori, raggiunge il quindicesimo posto nell’Ue, ma è comunque sempre al di sopra della media dei 28 paesi, sono quelle relative alle attività domestiche (Italia 30,6%, media Ue 25,8%) e attività domestiche occasionali, ma pesanti (30,2%, media Ue 24,2%). Per queste due voci è relativamente vicina anche la differenza. Sempre molto più elevata nelle altre voci – degli over 75 che rispetto alla media di tutte le età salgono di circa il 17 %.
Nel fare la spesa le gravi difficoltà degli italiani sono in media per il 17,2% contro una media Ue del 13% e nelle attività di cura della persona sono al sesto posto con l’11,2% su una madia Ue dell’8,8 per cento. Per queste voci tuttavia le cose vanno decisamente peggio per gli over 75 che raggiungono rispettivamente il 29,1% e il 19%.
Nelle altre voci l’Italia è sempre al quinto posto nell’Ue.
Per le attività domestiche leggere la media tra tutte le età è del 15,2% (quella Ue del 10,3%), con gli over 75 che raggiungono però il 25,2%. Nel farsi il bagno o la doccia hanno gravi difficoltà in media il 10,4% (Ue 7,6%) ma negli over 75 si raggiunge il 17,6 per cento. Nella gestione delle attività economiche e amministrative abituali, le difficoltà sono per il 13,6% dai 65 anni in su e per il 23,1% negli over 75 contro medie Ue che negli over 65 sono al 9% e raggiungono il 15,8% in chi ha più di 75 anni.
Dati significativi quindi, che presuppongono la necessità di valutare un livello di assistenza ben più alto dell’attuale sia dal punto di vista sanitario che per la vita di tutti i giorni negli anziani, maggiore è la loro età. Soprattutto in considerazione del recente dato dell’Ocse per cui nel 2050 ci saranno 53 over 65 ogni 100 persone in età lavorativa (oggi 28) e per l’Italia va peggio: nel 2050, ci saranno 74 persone al di sopra dei 65 anni per 100 persone di età compresa tra 20 e 64 anni (rispetto al 38% di oggi), rendendo l’Italia il terzo più vecchio Paese OCSE dopo il Giappone (78) e la Spagna (76).
Il fenomeno Caregiver in Italia
A dare un’idea del fenomeno dei caregiver è stata un’indagine multiscopo dell’ISTAT del 2011[2] la quale ha rivelato la presenza in Italia di 15.182.000 persone che, nel contesto familiare, si prendono cura regolarmente di qualcuno pari al 38% della popolazione di età 15-64 anni, di cui il 55% donne. Di questi:
- 3.329.000 caregiver si prendono cura di adulti anziani, malati, disabili;
- 10.944.000 genitori che si prendono cura di figli coabitanti di età entro i 15 anni;
- 2.666.000 essenzialmente nonni, si prendono cura di altri bambini.
Per quanto riguarda i caregiver, questi di solito sono:
- donne in età compresa tra 45 e 55 anni, che spesso svolgono anche un lavoro fuori casa ma che nel 60% dei casi hanno abbandonato la propria attività per dedicarsi a tempo pieno (in media 7 ore al giorno di assistenza diretta e 11 ore di sorveglianza) alla cura nel contesto familiare di chi non è più autonomo;
- anziani e malati a loro volta, che si occupano di loro cari ancora più in difficoltà;
- giovani tra i 15 e 16 anni, che in Italia sono 169mila e dividono il loro tempo tra scuola e cura rischiando di essere isolati dai compagni e di isolarsi emotivamente e socialmente.
Si tratta certamente di dati sottostimati, ma comunque in grado di dare un’indicazione dell’importanza che la nuova legge rappresenta per numerose famiglie in Italia.
Un studio sulla salute fisico-psichica dei caregiver
Una recente indagine internazionale ha indagato l’impatto che la funzione di caregiver ha sulla salute fisico-psichica della persona che si assume la responsabilità della cura. I risultati dello studio-sondaggio, condotto online da Censuswide per conto di Merck, azienda leader in campo scientifico e tecnologico, sono stati resi noti in concomitanza del lancio di Embracing Carers™[3], un’iniziativa globale di sensibilizzazione promossa da Merck sotto l’egida di Eurocarers e di altre importanti organizzazioni di assistenza, mirata a far riconoscere l’importanza dei caregiver nella vita dei pazienti. Lo studio internazionale Embracing Carers™ ha coinvolto 3.516 caregiver non retribuiti di età compresa tra 18 e 75 anni (2.106 dei quali di 35-55 anni) in sette Paesi (Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, Australia) tra il 27 luglio e l’8 agosto 2017.
Dai dati riguardanti l’Italia, e relativi a 501 caregiver non retribuiti in tutto il Paese, emerge che molti caregiver trascurano la loro stessa salute: oltre la metà dei caregiver percepisce che la propria salute fisica ha risentito negativamente per il ruolo svolto, mentre un terzo ha anteposto la salute della persona di cui si occupa alla propria. Più di un quinto afferma di avere difficoltà a chiedere aiuto per occuparsi della propria salute.
Nonostante mettano le proprie esigenze di salute in secondo piano, più di 7 caregiver italiani su 10 sentono di essere riconosciuti in questo ruolo di prestatore di assistenza dalle autorità o dai servizi sanitari locali (con un 84% che afferma di sentirsi sostenuto dal proprio medico di Medicina Generale / specialista / infermiere / psicoterapeuta) mentre più della metà degli intervistati dichiara di non sentirsi sostenuto dalle istituzioni nazionali.
Il supporto ai Caregiver famigliari di anziani e disabili in Emilia Romagna
Dal documento “Il supporto ai Caregiver famigliari di anziani e disabili in Emilia Romagna. Sintesi della ricognizione delle iniziative di supporto realizzate nel 2012” Welfare la Regione per le persone[4]. Le proposte che emergono sono:
Potenziamento e Innovazione
La rilevazione effettuata ci ha mostrato un vasto mondo di esperienze, più ricco di quello è stato possibile rappresentare. In prospettiva occorre sviluppare le esperienze realizzate e consolidare in modo diffuso ed omogeneo le opportunità agendo su alcune direttrici:
– Inserendo l’attività e la progettualità per tutti i caregiver nell’ambito della programmazione degli ambiti distrettuali, ponendosi degli obiettivi minimi;
– Aggiornando le linee operative delle azioni dell’FRNA prevedendo dei risultati minimi da aggiungere; introducendo maggiore flessibilità per alcuni servizi, come l’accoglienza temporanea di sollievo e promuovendo e sviluppando le azioni rivolte ai gruppi;
– Condividendo strumenti di aggiornamento e formazione anche a distanza per i caregiver.
– Arricchendo le competenze relazionali degli operatori sanitari, sociali e socio-sanitari attraverso un programma straordinario di formazione sia per gli operatori già in attività nei servizi che nella formazione di base delle professioni (medici, infermieri, terapisti, educatori, assistenti sociali, Raa, Oss, animatori).
– Promuovendo la ricerca, lo scambio di esperienze e il confronto anche con altre realtà per riuscire a intercettare i nuovi bisogni e a promuovere interventi innovativi per darvi risposta.
Le ricerche realizzate su gruppi specifici di caregiver in Italia
Diverse ricerche realizzate su gruppi specifici di caregiver in Italia concordano su alcune tendenze: sono soprattutto donne, per la maggioranza non occupate e con un livello di scolarizzazione medio-basso.
Secondo uno studio del 2008, svolto su un campione di 226 familiari di pazienti ricoverati nei reparti di riabilitazione neuro-motoria degli istituti lombardi della Fondazione Salvatore Maugeri, il 56,2% dei caregiver risulta non occupato, e più di uno su due ha un diploma di scuola elementare o media.
Uno studio condotto nel 2016 e realizzato su 100 famiglie di persone con sclerosi tuberosa mostra chele madri sono coinvolte nell’attività di cura, da sole o con altri familiari, nel 93% dei casi contro il 53% dei padri, e che solo il 37% di loro è occupata contro il 71% dei padri.
In una ricerca condotta nel 2016 sui caregiver di malati di Alzheimer, si riporta che il caregiver svolge mediamente 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza, con importanti conseguenze sul suo stato di salute.
Un aspetto poco studiato è quello del caregiver giovane o giovanissimo. Con il termine giovani caregiver ci si riferisce a bambini e giovani fino ai 18 anni di età che rivestono un ruolo significativo nel prendersi cura di un membro della propria famiglia bisognoso di assistenza, prestando cura in modo continuativo e assumendosi delle responsabilità che normalmente verrebbero associate ad un adulto. Nei fatti, si tratta spesso di figli, fratelli, nipoti o – in qualche caso – giovani genitori di persone affette da disabilità fisiche o mentali, da malattie terminali o croniche o da dipendenze. I caregiver che hanno un’età compresa tra i 18 e i 25 anni vengono chiamati giovani adulti caregiver. http://www.caregiverfamiliare.it/?page_id=665
Eppure bambini e ragazzi che assistono o aiutano in maniera continuativa un familiare adulto (sia un fratello, un genitore o un nonno) esistono, e la loro vita risente di questa loro attività. Si stima che in Italia siano il 2,8% dei ragazzi di quell’età: numericamente si tratta di circa 170.000 ragazzi e ragazzini (dati istat ).
Una ricerca presentata nella conferenza “Superare gli ostacoli: giovani caregiver (stranieri) in Europa” nel 2016 ha messo luce al fenomeno, che a Carpi (dove è stata realizzata l’indagine) riguarda il 13,6% del totale dei 228 studenti delle scuole medie e superiori della città, partecipanti. Secondo i dati registrati, quasi il 14% di questi ragazzi partecipanti vive con almeno una persona disabile o malata da tempo e quasi il 20% presta un livello di cura di intensità alta o molto alta.
L’ indagine di Cittadinanzattiva
Dalle indagini di Cittadinanzattiva “XV Rapporto Nazionale 2018 sulle politiche della cronicità “In Cronica Attesa”[5] risulta che la presa in carico e gestione del paziente attraverso il piano di cura solo il 40% delle Associazioni dichiara che solo alcuni pazienti vengono coinvolti nella costruzione del piano di cura e di questi solo il 14% sono inseriti in Percorsi o Piani di cura integrati. La riorganizzazione delle cure primarie non ha prodotto nessun cambiamento per il 33% delle Associazioni. Se la persona può essere curata a domicilio, la prima criticità è quella di attivare l’assistenza domiciliare (63%) . Una volta attivata le ore di assistenza domiciliare sono comunque insufficienti (60%), mancano tutte le figure specialistiche necessarie (45%) e l’assistenza di tipo sociale come la preparazione dei pasti, del vestirsi, lavarsi, ecc… (40%). Le difficoltà burocratiche si riscontrano, in particolare per la presentazione della domanda di invalidità e/o handicap (67%) nella domanda di protesi e ausili (40%) e nella richiesta del contrassegno per invalidi (40%). Difficoltà di accesso si ha nel riconoscimento dell’indennità di accompagnamento (46%).
Infine l’80% delle Associazioni è a conoscenza del piano nazionale della cronicità, in Emilia Romagna l’80% delle Associazioni è a conoscenza della legge regionale n. 2 del 28/3/2014 “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”[6], ma nessuno ne fa uso.
La ricerca “L’audacia della fragilità: persone con lesione midollare, caregiver e operatori ospedalieri si confrontano attraverso lo strumento della Medicina Narrativa”
Nella recente ricerca condotta nel 2017 “L’audacia della fragilità: persone con lesione midollare, caregiver e operatori ospedalieri si confrontano attraverso lo strumento della Medicina Narrativa”[7] risulta confermato che il lavoro di cura è a carico delle donne (80%), che continuano a definirsi non caregiver ma mogli, madri, compagne ritenendo “naturale” il proprio dovere di accudimento: la loro vita è concepita in funzione della PLM.
L’analisi delle narrazioni dei caregiver ha fatto emergere un elevato livello di stress (68%), imputabile alle molteplici variabili che entrano in gioco: l’età, la solidità del nucleo familiare, i fattori ambientali, la situazione occupazionale, il sostegno della rete socio-sanitaria, il grado di parentela e la gravità della lesione della PLM.
In particolare il rientro a casa dopo l’ospedalizzazione è definito da molti un “massacro”: durante il ricovero i protagonisti della cura e dell’assistenza erano altri e il caregiver era di supporto. In un attimo passa ad una situazione in cui oltre all’assistenza si aggiungono altri compiti legati alla conciliazione dei bisogni della PLM con i bisogni degli altri componenti della famiglia, al mantenimento della rete sociale per evitare l’isolamento. Dal punto di vista sanitario chi subisce gli effetti è la PLM, mentre il carico assistenziale ricade sulle famiglie con un notevole dispendio di energie e anche con risvolti economici importanti. Dal punto di vista organizzativo e assistenziale i compiti richiesti al caregiver diventano ancora più impegnativi in termini di tempo, energie, capacità e competenze. La famiglia, rispetto al cambiamento intervenuto, deve riorganizzarsi e trovare un nuovo equilibrio definendo priorità e obiettivi a breve e a lungo termine. Questo può generare ansia e preoccupazione ma anche una riscoperta di energie e capacità inimmaginabili.
NOTE
[1] ISTAT, Indagine “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea”, 2015
[2] Indagine Multiscopo ISTAT. consultato il 26 novembre 2018
[3] https://www.embracingcarers.com/en/home.html, consultato il 26 novembre 2018
[4] https://sociale.regione.emilia-romagna.it/documentazione/pubblicazioni/RelazioneRilevazioneCAREGIV
[5] https://www.cittadinanzattiva.it/comunicati/salute/11441-presentato-il-xvi-rapporto-sulle-politiche-della-cronicita-molti-atti-pochi-fatti.html
[6] http://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio inserzione?i=aba33f088caa45c781e2755504e89925
[7] “L’audacia della fragilità: persone con lesione midollare, caregiver e operatori ospedalieri si confrontano attraverso lo strumento della Medicina Narrativa” –a cura di Rossana Di Renzo, Maria Luisa Pozzi, Mirella Valdiserra, Marilena Vimercati. Ricerca svolta presso Montecatone R.I.- Imola, dietro approvazione del Comitato Etico Interaziendale Bologna-Imola – CE – BI (22 settembre 2016) N. 853/CE. Terminata nel febbraio 2018.