A cura di Walther Orsi
Verso un nuovo modello di welfare e sicurezza sociale del cittadino

In questi ultimi tempi la globalizzazione ha svelato, in maniera sempre più evidente, molteplici vantaggi legati allo sviluppo delle interdipendenze fra le politiche dei vari Stati, alle crescenti reti comunicative, all’allargamento dei mercati e alla possibilità di accesso alla conoscenza e alla tecnologia.

Ma sono emersi in modo sempre più evidente anche gli effetti perversi legati a una sorta di fallimento del progresso che “si misura tanto nell’esaurimento della natura quanto nell’imprigionamento delle libertà umane” nelle trappole di una esclusiva crescita economica. Si diffonde il dubbio che questo modello di sviluppo sia caratterizzato da forti limiti perché sempre più orientato a produrre disuguaglianze fra nord e sud, conflitti fra Stati e culture, terrorismo, inquinamento dell’ambiente, esaurimento delle risorse energetiche, cambiamento del clima. Si afferma un’idea di progresso che impoverisce e riduce le speranze nel futuro (Morin E., Sami N., Una politica di civiltà, Asterios, Trieste).

In tale situazione anche il sistema di welfare e sicurezza sociale ha svelato in maniera sempre più evidente molti segnali di crisi attraverso tre grandi aree problematiche: la crisi finanziaria, la crisi organizzativa, l’universalismo rinnegato, ma anche diverse possibili vie d’uscita che citiamo per parole chiave: welfare mix, welfare comunitario, welfare society, welfare locale (Orsi W,. D’Anastasio C., Ciarrocchi R., Animazione e demenze – Memorie, emozioni e buone pratiche sociali, Maggioli, 2012, pp. 17-19).

Occorre sottolineare però che le vie d’uscita dalla crisi del welfare sono ancora imprigionate da una logica tradizionale e duale che fa riferimento al rapporto fra sistema dello sviluppo e sistema del welfare. Il primo genera bisogni e problemi, la cui soluzione è affidata interamente al secondo.

È venuto il tempo di rompere quest’ottica semplicistica, che si rivela anche insostenibile a livello economico e organizzativo, per cogliere la complessità dei sottosistemi in cui si articola la società (economico, politico-amministrativo, socio-culturale) e delle logiche della loro integrazione: scambio, redistribuzione e reciprocità (Polanyi K., Economie
primitive, arcaiche e moderne, Einaudi, Torino). La crisi del welfare e delle politiche sociali può essere interpretata anche come crisi dei rapporti fra tali sottosistemi e delle loro logiche di riferimento.

Si rileva la necessità di un welfare del cittadino in grado di sviluppare sinergie fra questi sottosistemi e le logiche di riferimento. Tale modello, guidato dall’innovazione sociale (Orsi W., Ciarrocchi R., Lupi G., Qualità della vita e innovazione sociale, FrancoAngeli), introduce due elementi, in precedenza non considerati, che fanno riferimento al ruolo dei cittadini e al valore della qualità della vita. Sono elementi strettamente legati fra loro, infatti la qualità della vita si può sviluppare e valutare solo con il consenso e l’azione delle persone e delle comunità. Solo con un welfare che renda protagonisti i cittadini si può promuovere qualità della vita e salute, ma anche uno sviluppo sostenibile.

Le buone pratiche sociali fanno riferimento a tale modello di welfare perché considerano l’ambiente come produttore di bisogni e problemi e come contesto in cui si possono fornire risposte, attraverso i servizi professionali, ma anche con le risorse, le idee, le azioni e i progetti dei cittadini.

In tale prospettiva le buone pratiche sociali possono anche rappresentare modalità concrete per promuovere un’alleanza fra cittadini e servizi, per ridefinire la delega alle istituzioni, per ridurre il sovraccarico funzionale dei professionisti, ma anche per sviluppare nuove forme di risposta ai bisogni emergenti, per attivare nuove attività imprenditoriali e di lavoro soprattutto per i giovani.

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