a cura di Chiara Magaldi

 

Per la prima volta ho timbrato il cartellino

Erano i giorni in cui era scoppiato il caso di Codogno e avevo preso una decisione: dare il mio contributo. Ho risposto al bando dell’ospedale di Cremona. Sono partita e ho firmato il contratto. Il 12 marzo 2020 per la prima volta ho timbrato il cartellino.

Il mio percorso per diventare medico

Non sono un medico specialista, sono laureata da un anno. Le uniche esperienze che ho sono in pediatria del territorio.

Il mio desiderio sin da bambina era fare il medico.

Ho studiato in Bulgaria. Ho avuto l’opportunità di frequentare il corso di laurea utilizzando la lingua inglese, conoscere tante persone, confrontarmi con altre culture, aprire la mente. Questa esperienza è stata per me una palestra e un’opportunità.

Ho sempre voluto fare la pediatria e dopo la laurea volevo specializzarmi. Ho deciso di farlo in Svezia. In Svezia mi  sono trovata bene sia da un punto di vista professionale che della vita privata: in questo paese mi posso sposare, posso adottare, posso avere figli miei, il welfare sostiene le varie fasi della vita. La famiglia che mi ha accolto, di origine curde, è speciale. Un popolo che è abituato a migrare ha il dono genuino ed affettuoso dell’ospitalità.

La mia giornata tipo in ospedale

Sono inserita in team eccezionale.

Indipendentemente da quello che mi chiedono di fare: sia che si tratti di compiti da medico o di compiti che esulano dal ruolo, faccio qualsiasi cosa, anche riordinare le cartelle per farle trovare in ordine e facilitare il lavoro delle colleghe.

In reparto collaboro con due dottoresse, sono molto pazienti e se sbaglio mi correggono; nonostante il momento di emergenza in cui è difficile insegnare:  trovano sempre il tempo per farlo.

Lavoro nel dipartimento di medicina interna che accoglie casi che hanno bisogno di osservazione continua; la maggior parte delle persone hanno 75 anni in su che non significa niente perché sono sempre persone, ricordiamolo!

Il trattamento è standard per tutti; ogni 10 gg arrivano le nuove linee guida e se c’è qualcosa da cambiare in terapia si cambia.

La mattina si fa il giro dei pazienti, si prendono le misurazioni, poi c’è una mezz’oretta di pausa perché finito il giro bisogna impostare le terapie, scrivere le consegne, verificare le consegne con i casi degli altri dipartimenti. Il confronto costante è importante.

I pazienti si scompensano facilmente bisogna prendere le misurazioni anche tre, quattro volte al giorno

Tutti i dottori e specialisti dell’ospedale a turno vanno nei dipartimenti di medicina, pneumologia, malattie infettive, PS, rianimazione: tutti ruotano in questi reparti convertiti in reparti covid per aiutare gli internisti e alleggerire il loro carico di lavoro perché siano meno stanchi il giorno dopo.

Ogni giorno viene un collega diverso di un dipartimento diverso: ognuno si mette a disposizione e spesso fanno cose che non sono di loro competenza. Sto imparando molto sia da un punto di vista medico che da un punto di vista umano.

La prima cosa che chiedono tutti è se la situazione sta migliorando o peggiorando.

In realtà non so rispondere perché stando in reparto e non al pronto soccorso non so esattamente quanti casi ci sono. Posso dire che appena si libera un letto viene occupato.

Non si ha il tempo di affezionarsi, di imparare a memoria la cartella di un paziente o farsene un’idea o ricordarsela perché appena una persona è stabile, si sente meglio, viene subito trasferita in un dipartimento dove non ha bisogno di così tanta osservazione.

Non mi sento eroe

Spesso sento dire che siamo degli eroi.

La verità è che non ci si sente eroila verità è che si sopravvive.

Quando mi capita di venire a contatto con tanta sofferenza, soprattutto di persone avanti negli anni, che mi ricordano i miei nonni, vederli soffrire, mi lascia il segno.

Non ci si abitua al dolore, nei loro occhi c’è solitudine

Cosa resterà da questa esperienza? la sofferenza.

Eroi non lo siamo, non mi sento eroe.

Cerchiamo di fare del nostro meglio e di tenere a bada le emozioni, cosa alquanto difficile perché le emozioni sono veramente lì dietro l’angolo che ti aspettano.

La vicinanza dei cittadini è importante.

Quando torneremo alla normalità

Vorrei che alla fine di questa crisi ci ricordassimo di quanto il personale sanitario ha fatto per essere accanto alle persone malate.

A prescindere da questa crisi i medici prendono decisioni difficili ogni giorno costantemente, e vorrei che ci fosse un po’ più di rispetto.

Molto spesso lavoriamo in condizioni precarie con turni massacranti, denunciati, subiamo violenze. Non avere i cittadini collaboranti ci fa perdere fiducia in quello che è la bellezza del prendersi cura dell’altro.

Rispettiamoci a vicenda sempre.

 

Grazie a Marilena Vimercati che ha trascritto il file audio che Chiara Magaldi ci ha inviato

Foto di Marilena Vimercati

 


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