Il prof. Federico Licastro risponde ai dubbi sull’invecchiamento cerebrale

Un buon invecchiamento è possibile? Ad oggi la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura, tramite adeguati programmi di intervento, permettono di mantenere, recuperare o acquisire l’efficienza fisica e mentale: ad affermarlo è il prof. Federico Licastro, già Professore di Immunologia e Professore dell’Alma Mater presso il Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale, Scuola di Medicina, dell’Università degli Studi di Bologna.

Il professore, da ora collaboratore di Cittadinanzattiva, è pronto a rispondere a dubbi e a problemi personali in merito all’argomento; invitiamo quindi i lettori interessati a scrivere una mail a segreteria@cittadinanzattiva-er.it.

Prevenzione dell’invecchiamento cerebrale: inquadriamo il problema

L’aumento progressivo della sopravvivenza media e della speranza di vita nelle popolazioni dei paesi industrializzati ha comportato anche un aumento nella prevalenza e nell’incidenza delle malattie cronico-degenerative, quali le malattie cardiovascolari causate dall’aterosclerosi, le malattie neurodegenerative, ad esempio demenza e Parkinson, ma anche di malattie considerate minori quali le paraodontopatie. Le paraodontopatie, o periodontite spesso sottovalutate dalla medicina pubblica, sono causa di gravi inconvenienti orali nel paziente, quali ad esempio perdita di denti e riassorbimento osseo, inoltre si associano spesso anche ad altre malattie “maggiori” quali l’infarto del miocardio.
Le malattie cronico degenerative, quali la demenza o l’infarto del miocardio, non sono di semplice diagnosi e richiedono terapie altrettanto complesse e prolungate nel tempo. Fortunatamente recenti progressi nei campi della genomica, della proteomica e dell’informatica applicata alla medicina stanno portando alla scoperta di nuovi marcatori biologici associati a queste malattie.

Gli “indicatori di rischio” e le nuove frontiere della medicina personalizzata

Questi marcatori fungono da specifici indicatori associati a questo tipo di malattie e possono essere impiegati come “indicatori di rischio” per una determinata malattia e quindi essere impiegati come nuovi strumenti per la predizione di rischio.
La predizione di un rischio di malattia ci porta in un campo emergente della medicina del terzo millennio chiamata medicina personalizzata.
Quindi per la prima volta nella storia della medicina, il medico con l’uso di appropriati marcatori biologici, ad esempio genetici, si trova nella condizione di poter anticipare la malattia e agire prima che questa si manifesti clinicamente in soggetti predisposti.
La predizione di un rischio di malattia fornisce quindi per la prima volta la possibilità al medico di individuare su solide basi scientifiche i portatori di rischio per una data malattia.
L’individuazione della predisposizione diventa quindi oggi un punto di forza poiché è possibile nei soggetti predisposti attuare pratiche di prevenzione primaria, secondaria o terziaria allo scopo di annullare il rischio di malattia o di ritardarlo di molti anni.
La prevenzione primaria riduce il rischio di malattia diminuendo l’esposizione del soggetto agli agenti causali. quando noti, o promuovendo la resistenza individuale, ad esempio tramite la vaccinazione. La prevenzione secondaria grazie alla diagnosi precoce e alla terapia applicata agli stadi iniziali della malattia riduce la prevalenza clinica di una data malattia. La prevenzione terziaria migliora il decorso clinico della malattia, ne attutisce i sintomi e migliora la qualità della

La prevenzione del decadimento cognitivo

E’ importante sottolineare che nelle malattia complesse, quali le malattie neurodegenerative, vi sono componenti genetiche, di genere e ambientali che interagendo fra loro svolgono un ruolo rilevante nella patogenesi e/o nella progressione clinica della malattia.
Diventa quindi importante non solo individuare le singole variabili ma anche la loro interazione in associazione con la malattia. La ricerca dell’interazione fra le variabili per il decadimento cognitivo e la demenza ci ha permesso di sviluppare una carta del rischio per queste due condizioni patologiche che ha una sensibilità e una specificità superiore al 75%. Questa carta del rischio è nata da numerosi studi effettuati confrontando una popolazione di pazienti con deficit cognitivo senza demenza, pazienti con diagnosi clinica di Alzheimer e controlli cognitivamente sani comparabili per sesso ed età.
L’applicazione dell’elaborazione statistica derivate dalle reti neurali ci ha poi permesso di selezionare le variabili rilevanti per il decadimento cognitivo e per la demenza.
E’ importante sottolineare che non sono disponibili a oggi strumenti predittivi di paragonabile sensibilità per la demenza senile e per la sua forma clinicamente più frequente, la malattia di Alzheimer.

Le categorie di rischio

In base alla presenza delle diverse variabili sia genetiche sia biochimiche è possibile assegnare al singolo individuo un punteggio che lo colloca in una categoria di rischio.
Al giorno d’oggi le persone anziane conducono una vita attiva, ricca di interessi in cui vi è un’attenzione sempre maggiore a mantenere e migliorare il proprio benessere fisico e psicologico. Sta quindi radicalmente cambiando l’idea di invecchiamento come condizione spesso associata ad un generale decadimento fisico e cognitivo. Anche questo nuovo passaggio di vita, così come ogni altra tappa evolutiva, necessita, però, di importanti cambiamenti, modificazioni e ristrutturazioni della propria persona e del proprio stile di vita. A volte può accadere che il deterioramento delle condizioni fisiche, emotive e cognitive, possa essere sottovaluto o semplicemente considerato come una normale condizione negativa legata al processo di invecchiamento.

Oggi grazie alla prevenzione, alla diagnosi precoce e alla cura un buon invecchiamento è possibile!

In apertura: foto tratta da Pixabay.com, @Ellen26


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