di Walther Orsi

E’ ormai evidente a tutti che per misurare l’indice di sviluppo di una società non sia sufficiente fare riferimento solo al PIL, ma occorre tenere conto di tanti altri indicatori che determinano la qualità della vita delle persone. Ci si riferisce in particolare all’occupazione, all’ambiente, alla salute, all’istruzione, alle condizioni abitative, alla giustizia, alla sicurezza sociale, alla cultura, alla dotazione di servizi  ed infrastrutture. La qualità della vita è legata inoltre alla capacità di controllo e riduzione di alcune svantaggi (“disamenities”) prodotti da una determinata crescita economica: povertà, criminalità, inquinamento, congestione stradale, solitudine, dipendenza, disagio ed emarginazione sociale.

In tale prospettiva la povertà, spesso crescente nei sistemi sociali evoluti, non è che la punta dell’iceberg degli svantaggi determinati da un determinato modello di sviluppo. La povertà infatti non è solo di tipo economico, ma si rivela anche come carenza di: educazione, cultura,  relazioni, sicurezza, salubrità ambientale, disponibilità di servizi,  autonomia personale,   opportunità per sviluppare ruoli lavorativi e sociali.

La povertà si manifesta quindi come carenza di inclusione sociale, cioè di una condizione in cui tutti gli individui vivono in uno stato di accoglienza, equità e di pari opportunità. L’inclusione sociale ha l’obiettivo di eliminare qualunque forma di discriminazione all’interno di una società, ma sempre nel rispetto della diversità.

Impegnarsi per favorire l’inclusione sociale significa promuovere uno sviluppo sostenibile, rendendo  le comunità e le città più vivibili, sicure e soprattutto inclusive. In questa prospettiva è necessario prendere innanzitutto consapevolezza di alcuni fenomeni che, nell’attuale società italiana, segnalano situazioni di povertà, disagio ed emarginazione sociale, contribuendo a condizionare negativamente la qualità della vita prodotta dal nostro modello di sviluppo.

I dati forniti dall’ISTAT

 

Attraverso i dati forniti dall’ISTAT scopriamo che in Italia un milione e ottocento famiglie (il 7%) e 5 milioni di persone (l’8,4%) vivono in condizioni di povertà assoluta (non hanno la disponibilità economica per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile).
La povertà assoluta è più elevata fra le famiglie in cui è presente un solo genitore, o che hanno un maggior numero di componenti.
La povertà assoluta incide di più quando sono presenti dei minori (diventa  il 19,8% delle famiglie con tre o più figli minori). Gli stranieri in povertà assoluta sono un milione e 500 mila, con una incidenza pari al 30,3%.


Ma esiste anche una povertà intesa come carenza di relazioni.

A questo proposito un dato particolarmente significativo è costituito dalle persone sole, che in Italia sono il 29,2%, e sono rappresentate soprattutto dalle persone anziane, spesso in condizioni di non autosufficienza.
 La carenza di relazioni  emerge anche quando le persone sono affette da una disabilità, o da una condizione di non autosufficienza.
L’ultimo rapporto Istat sull’inclusione sociale, interpretando in modo ampio la disabilità, stima che circa il 25,5% della popolazione italiana presenti una qualche forma di disabilità.
In particolare circa 3 milioni di persone presentano limitazioni gravi che determinano notevoli difficoltà nella gestione delle attività essenziali della vita.
La povertà economica e di relazioni emerge spesso fra i giovani e si manifesta attraverso il fenomeno denominato Neet (Not in education, employment or training). In Italia tale fenomeno è particolarmente rilevante ed è rappresentato da circa 2 milioni di giovani (cioè il 23,4% del totale dei giovani) che non studiano e non lavorano.
Il dato italiano è preoccupante, perché siamo al primo posto a livello europeo (in cui  la media è del 12,9%). Questa situazione di inattività  rappresenta una condizione di forte disagio giovanile che priva i ragazzi di una possibilità di futuro.
Anche l’uso di sostanze stupefacenti è un fenomeno preoccupante perché è un segnale
di disagio
 che comunque fa emergere una carenza, o un forte condizionamento del sistema delle relazioni. A questo proposito sempre dai dati Istat si scopre che il 22% degli adulti fra i 15 e i 64 anninel 2017, ha fatto uso di una qualsiasi droga. Fra i giovani uno su cinque ha fatto uso di cannabisil 6,8% ha fatto uso di cocaina.
A questo proposito occorre sottolineare che il consumo di sostanze stupefacenti e gli stili di vita connessi non impattano solo sui consumatori, ma su tutta la popolazione, con particolare riferimento alla sicurezza (ad esempio per gli incidenti e la criminalità).

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