Erika Borellini, ingegnera e caregiver di sua madre
Dignità e caregiver, un binomio ancora lontano dall’essere rispettato
Dignità e caregiver, un binomio ancora lontano dall’essere rispettato e che continua a creare problematiche all’interno dei nuclei famigliari che si occupano di una persona affetta da disabilità causando spesso attriti e fratture che portano a farsì che solo poche persone, se non spesso un’unica persona, si occupi di chi non è in grado di svolgere le attività quotidiane in autonomia sia per problemi strettamente fisici, sia per problemi cognitivi o per ambedue le motivazioni.
Attriti che spesso scaturiscono da motivazioni economiche e/o da motivazioni di tipo psicologico/assistenziale dove la mancanza di un supporto adeguato che permetta al caregiver di sentirsi compreso e sostenuto nelle attività di vita quotidiana lo porta ad un rischio esponenziale di burnout, o meglio conosciuto come burden nel caso dei caregivers e che può degenerare in situazioni drammatiche (ma oserei dire forse prevedibili) come la cronaca degli ultimi anni ci mette sempre più sotto la luce dei riflettori.
La Carta dei Doveri Umani
Voglio ricordare brevemente quanto riportato all’interno della Carta dei Doveri Umani che ci ricorda, o per meglio dire sancisce, che è dovere di ogni persona rispettare la dignità umana, combattere la discriminazione, operare a favore di anziani e disabili al fine di migliorare le loro qualità di vita , rispettare la vita umana e appoggiare tutti coloro che si sforzano di aiutare chi soffre.
Pochi concetti, così semplici e chiari, così altrettanto potenti su cui nessuna persona con senso etico avrebbe qualcosa da ridire.
Se leggiamo attentamente quelle parole possiamo vedere esattamente l’attività del caregiver, in quanto persona che si adopera al fine di rendere quanto più dignitosa possibile la qualità di vita del proprio caro, e contemporaneamente troviamo la necessità di supportare il caregiver.
La dignità parte dal sostegno
La dignità parte dal sostegno, perché una persona può andare avanti per un paio di giorni, settimane, mesi, anni, ma prima o poi arriverà ad un punto in cui si sentirà stremato dal non essere più in grado di fornire l’assistenza adeguata sia perché le cure costano troppo e sia perché talvolta è lo stesso fisico a cedere.
Parlando del primo problema spesso molte terapie e integratori che aumentano il benessere dell’assistito, nonché i presidi essenziali (letti elettrici, carrozzine, sollevatori, cuscini antidecubito, medicazioni, etc.), hanno costi rilevanti soprattutto quando si parla di malattie croniche che prevedono risorse costanti che una persona che accudisce un famigliare spesso non si può permettere.
Perché un caregiver non lo è solo nei giorni festivi ma lo è sempre e pertanto è vincolato, limitato se non impossibilitato a intraprendere una attività lavorativa che gli consenta di sostenere le spese mediche , nonché quelle di una persona adeguata alla sua sostituzione quando si deve assentare per lavorare.
Si noti inoltre che sia caregiver che il proprio caro devono mangiare, pagare le tasse e le bollette come tutte le altre persone che si trovano in condizioni psico-fisiche più agiate e gli elementi di cura di cui hanno bisogno non sempre vengono passati dall’AUSL locale, dove anche in questo caso si può notare una forte disomogeneità nei servizi tra le varie regioni e province d’Italia.
Perché qui non si parla della pretesa di andare in vacanza per un mese dimenticandosi di tutto quello che accade tra le mura di casa, si parla del minimo indispensabile per garantire una qualità di vita dignitosa, non di lusso, a nuclei famigliari che si prendono in carico l’assistenza h24, un’assistenza che ti assorbe completamente.
Pertanto non solo il paziente dovrebbe essere preso in carico in modo olistico da parte dei professionisti del settore sanitario, ma proprio questo approccio dovrebbe prevedere la presa in carico anche della famiglia permettendo di seguire sì dei protocolli, ma ritagliati in modo sartoriale al fine di far fronte alle esigenze delle famiglie che con impegno e dedizione si dedicano all’attività di caregiving.
Punti di riferimento per il caregiver
Dovrebbe esistere una rete sicura a cui il caregiver può fare riferimento e non un sistema dove i professionisti vengono cambiati frequentemente togliendo dei punti fermi e a cui tutte le volte bisogna rispiegare il “caso” dal principio.
Anche dover rispiegare tutte le patologie, le dinamiche e le abitudini può essere un qualcosa di estremamente stancante e logorante per il caregiver.
Non tutti siamo compatibili con tutti, ed è proprio qui che sorge la necessità di avere un supporto stabile con chi conosce l’ambiente, sa come approcciarsi alle diverse famiglie, capisce prima di loro quando stanno per cedere ed interviene.
Non “rimuovendo il problema”, come ho sentito fare, o come quando mi è stato detto “devi viverti di più la tua vita”, ma fornendo assistenza sia dal fronte delle medicazioni, fisioterapia, insegnamento (nei casi di bambini o ragazzi) stabile, sia dal fronte dell’ascolto del caregiver, di cosa ha realmente bisogno.
E se crolla il caregiver?
Non parlo di capricci, ma di reali bisogni dal momento che una volta che il “castello” diretto dal caregiver crolla, crolla anche tutto il resto con lui e di conseguenza il sistema sanitario nazionale si ritrova a non dover più assistere una singola persona ma un numero maggiore. Sarebbe quindi meglio assistere fin dal principio che ritrovarsi in situazioni catastrofiche ed inaccettabili dal punto di vista etico ed umano.
Le persone affette da disabilità e i caregiver sono PERSONE e pertanto nonostante tutto hanno desideri ed ambizioni che per quanto possano essere limitate dalle incombenze quotidiane vanno sostenute nei limiti del possibile attraverso aiuti nell’inserimento del mondo del lavoro sia durante che alla morte della persona cara, la possibilità di continuare o di iniziare a studiare, permettergli l’inserimento all’interno della vita sociale anche con il proprio caro attraverso la rimozione delle barriere architettoniche ma ancora più forte e più difficile da eradicare la presenza di stigmi sociali che consapevolmente o inconsapevolmente isolano il caregiver.
Riconoscere il lavoro di cura
Non da meno ci dovrebbe essere la possibilità di vedere riconosciuta l’attività di caregiver in modo ufficiale e di conseguenza non ritrovarsi nella fase della vecchiaia con una pensione minima che lo costringerà a vivere di stenti.
Penso che una persona che dedica la vita ad un’altra persona, per affetto, no si meriti di vivere poi, nel momento della propria vecchiaia, in uno stato di difficoltà dove non può far fronte alle spese che gli permettono una qualità di vita dignitosa.
Nell’eventualità che il caregiver si ammalasse, non avendo versato contributi, o il minimo… chi si prenderebbe cura di lui?
La realizzazione del caregiver in quanto essere umano è alla base della sua dignità e gli permette di produrre anche dal punto di vista organico tutte quelle sostanze che evitano uno stato depressivo o di esaurimento con conseguente cattiva gestione di se stesso e di chi assistono.
Sostenere il lavoro di cura
Precisiamo essere un caregiver non vuol dire avere la spada di Damocle sulla testa che da un momento all’altro può colpirti, questo accade in mancanza di supporto.
Riuscire ad accudire nel modo adeguato, vedere la persona che assisto soddisfatta, che ride, che non soffre, riuscire a darle una qualità di vita dignitosa (compatibilmente con la malattia), questi sono i primi passi che mi permettono di sentirmi bene e realizzata.
Non basta questo perché come essere umano ho della ambizioni, ma se non porto a casa quegli obbiettivi so per certo che tutti gli altri non potrebbero essere raggiunti in modo soddisfacente perché continuerei a pensare, e qualche psicologo qui potrebbe dire rimuginare, su cosa manca.
Come può un caregiver uscire di casa sereno sapendo che il proprio famigliare non è curato in modo adeguato o che lo lascia alle cure di una persona che non sa come gestirlo?
Tutto questo è un concetto diverso dalla non accettazione della malattia per cui andrebbe intrapreso un altro tipo di discorso.
Dopo avervi annoiato un po’ con la parte più seria della mia argomentazione vorrei portarvi il mio caso personale.
La mia storia, facile? No. Realizzata? Sì.
Ho 29 anni e sono caregiver da dieci anni, è capitato, non l’ho scelto.
Ho scelto però di non scappare davanti alle difficoltà e con questo non sto giudicando chi non ce la fa a sopportare determinate situazioni e opta per soluzioni diverse.
Ho scelto che la mia vita non doveva valere più di quella di un’altra persona che ha dedicato la sua a me per tutto il tempo antecedente, ho scelto che la sua dignità non doveva valere meno della mia.
E’ facile? No. Sono realizzata? Sì.
Sono realizzata perché in questi anni siamo riusciti a dare un equilibrio a mia madre, una serenità ottenuta sentendo molti specialistici, ma soprattutto studiando tanto e facendo molte prove, ed è proprio questa parte che a volte mi fa arrabbiare quando penso a tutte quelle persone che per i più svariati limiti si devono affidare solamente a quello che gli viene detto durante una visita o che gli viene fornito.
Questo non per mancanza di fiducia nel personale sanitario, ma perché tutti sbagliamo e talvolta le diagnosi e le terapie non sono centrate nel modo corretto e la signora “Maria” con la sua pensione non può permettersi di provare a sentire più pareri, provare diversi farmaci o integratori che spesso vengono prescritti ma che il sistema sanitario non passa.
Sono realizzata perchè
Sono realizzata perché ora, grazie anche al supporto di persone che mi aiutano quando mi assento, posso provare a realizzare anche altri obiettivi che vanno al di fuori dell’ambito di cura.
Persone che però ho la possibilità di pagare, e in questo sono privilegiata, ma che non tutti si possono permettere perché sono monoreddito o vivono con solo invalidità e accompagnamento.
Non poter andare a fare la spesa serenamente, non poter andare a comprarsi da vestire per se e per l’altra persona. Non potersi ritagliare due ore perché devi scegliere tra quello e poter mangiare o curare.
Questo mi fa arrabbiare.
Sono realizzata perché ho avuto un gruppo di infermiere domiciliari che oltre a pensare a mia madre hanno sempre pensato anche alla nostra famiglia non lasciandoci mai soli, ma anzi cercando sempre di mettere una pezza dove il sistema sanitario era carente
Non si è solo caregiver
Sono realizzata perché ho potuto continuare a studiare quando ormai tutte le speranze stavano scemando, perché io non sono solo Erika la caregiver, io sono anche Erika l’Ingegnere e le due cose convivono dentro di me.
Ho potuto continuare a intraprendere questo percorso perché tante persone mi hanno sostenuto, perché evidentemente è un tema sempre più sentito dal momento stiamo vivendo un periodo storico in cui sempre più malattie sono croniche e di conseguenza la presenza di un caregiver di riferimento all’interno di un nucleo famigliare aumenta sempre più.
Non c’è dignità senza supporto
Tutto questo non vuol dire che io non faccia fatica o che non abbia momenti di sconforto o di rabbia, vuol dire invece che ho potuto sentire il senso di realizzazione personale perché sono stata supportata in modo corretto ed efficace.
Ed è per questo che è importante riconoscere la figura del caregiver, avere delle leggi che lo tutelino in modo efficace, perché la dignità viene prima di tutto e non c’è dignità senza supporto.
E’ contro ogni sano principio pensare che solo chi nasce nella provincia giusta, con le giuste riserve economiche o con la giusta capacità analitica che gli permette di far fronte alle più svariate situazioni, possa veder rispettata la propria dignità e quella di chi cura.
E ricordate che la persona disabile dipende dal caregiver ma anche il caregiver dipende dalle condizioni di salute e di vita di chi assiste.
Per conoscere Erika Borellini e le sue battaglie
Studenti caregiver perchè diritti non riconosciuti?:https://www.notiziecarpi.it/2021/12/15/studenti-caregiver-perche-diritti-non-riconosciuti/
Vuole aiutare gli studenti caregiver: http://Vuole aiutare gli studenti caregiver famigliari: https://www.modenaindiretta.it/modena-vuole-aiutare-gli-studenti-caregiver-famigliari-video/
La battaglia di Erika studentessa caregiver dimostra che nessuno è davvero solo contro le ingiustizie: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/30/la-battaglia-di-erika-studentessa-caregiver-dimostra-che-nessuno-e-davvero-solo-contro-le-ingiustizie/5540817/
Viso asimmetrico niente documento: https://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/viso-asimmetrico-niente-documento-digitale-cosi-viene-negato-un-diritto-ai-disabili-1.7225456
Facciamo valere i diritti dei caregiver nelle Università: https://www.change.org/p/facciamo-valere-i-diritti-dei-caregiver-nelle-universit%C3%A0
Erika potrà continuare a studiare, era stata esclusa dall’Università nonostante la madre malata: https://www.fanpage.it/attualita/erika-potra-continuare-a-studiare-era-stata-esclusa-dalluniversita-nonostante-la-madre-malata/