di Raffaele Lungarella* e Francesco Vella

estratto dall’articolo pubblicato su lavoce.info il 16/12/2016

Nella soluzione delle crisi bancarie ha assunto un ruolo determinante l’intervento dello stato, l’unico in grado di garantire una rapida soluzione dalle situazioni di dissesto, trasmettendo quei segnali di garanzia, solidità, chiarezza e trasparenza necessari per ripristinare un clima di fiducia e stabilità. Segnali tanto più importanti se si pensa che le risorse pubbliche stanziate nei vari paesi europei prima della approvazione della direttiva sul bail-in non sono sempre state a pieno utilizzate. A testimonianza di come sia proprio l’effetto annuncio e la sicurezza che comunque alla fine “il popolo” salverà le banche a garantire l’efficacia degli interventi, in un contesto non esposto alle incertezze e alla volatilità dei mercati.
Possono, indubbiamente, essere utili gli strumenti che cercano di mitigare i costi delle crisi addossandoli innanzitutto su azionisti e creditori “forti” (non i depositanti), come quelli appunto contenuti nella direttiva sul bail-in; ma l’esperienza che stiamo facendo dimostra come questi meccanismi, oltre ad aver assoluto bisogno di buone e sagge dosi di modulazione e gradualità quando vengono introdotti, da soli non sono in grado di consentire una sicura fuoriuscita dalla crisi. Al contrario corrono il pericolo di prolungarla all’infinito pregiudicando la solidità non soltanto di chi è in difficoltà, ma anche di chi è sano, perché generano un tossico e velenoso sentimento di sfiducia in tutto il sistema.
Quindi, la presenza dello Stato è necessaria e poi, cosa molto importante e spesso sottovalutata, non è affatto vero che alla fine le finanze pubbliche ci debbano perdere. Anzi qualche volta ci guadagnano.
Nelle schede che presentiamo cerchiamo di vedere attraverso quali modalità nel passato, recente e meno recente, sono state salvate le banche in alcuni paesi europei. Sono schede relative alle esperienze (tutte antecedenti alla approvazione della direttiva sul bail-in) di Svezia, Svizzera, Spagna, Irlanda e Germania. Per loro natura necessariamente sintetiche e riassuntive, danno però il senso delle strade finora seguite. In tutti questi paesi si è dato vita ad apposite
bad bank per gestire e sanare la zavorra dei crediti deteriorati delle banche. Si è in determinati casi pensato a soluzioni generali che coinvolgevano l’intero assetto creditizio oppure, in altri, si sono adottate misure concentrate su singoli intermediari in difficoltà.
Ciascuna esperienza, naturalmente, presenta caratteristiche diverse e va collocata nel suo specifico contesto storico ed economico. Quindi non è automaticamente traducibile in sistemi istituzionali diversi, ma molti sono gli elementi di indubbio interesse. Soprattutto emerge con
forza un comune filo conduttore che induce comunque a riflettere: al di là delle differenti modalità tecniche, alla fine è sempre il popolo a salvare le banche e per il popolo il salvataggio può anche rivelarsi tutto sommato non troppo dispendioso.

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*  Raffaele Lungarella, laureato in scienze statistiche ed economiche, è stato docente a contratto di economia applicata nell’università di Modena e Reggio Emilia, dove è stato anche cultore della materia di economia politica. Ha diretto il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della regione Emilia-Romagna; dello stesso ente è stato responsabile dei servizi politiche abitative e lavori pubblici. È stato anche responsabile del servizio finanziamenti per l’innovazione tecnologica di una società finanziaria. Ora è in pensione. E’ anche responsabile della tutela dei risparmiatori di Cittadinanzattiva Emilia Romagna.


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